21 maggio 2006

 

Liberali. Devono fare, saper fare e far sapere: le idee sono fondamentali, ma non bastano.

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NEL PLI SILENZIO E IMMOBILISMO, PROPRIO COME VENT’ANNI FA

NICO VALERIO, L’Opinione, 21 gennaio 2006

Avete presenti certi giovani nati vecchi? Hanno un'aria inutilmente calma, posata, lenta, compassata. Grave, direi. Senza per questo essere granché. Magari quell'aria lì la usano per chiedere al salumiere: "Vorrei due etti di prosciutto, ma che sia magro, m'ha raccomandato la mamma". Ma di loro i papà degli amici hanno un'ottima impressione: "Un ragazzo serio quel tuo amico". Come a dire: tu invece...

Ecco, quando eravamo giovani liberali il PLI era così. Se salivi le scale di via Frattina e mettevi il naso dentro qualche stanza ("Oh, mi scusi tanto...") inseguito da un sospettoso Piccio Crepas - un impiegato così liberalmente snob che considerava tutti gli iscritti al partito dei liberali infiltrati, a cominciare dal Segretario generale – intravvedevi signorili uomini di mezz'età, fronti ampie, capelli sempre troppo corti, cravatte di lana grezza stile inglese, scarpe robuste e ben fatte come si addice a dei farmer che di tanto in tanto, pur elegantemente vestiti (ma d'una eleganza sobria, veh) potrebbero da un momento all'altro far visita al fattore in Scozia o in Valtellina per controllare il silos dell'avena o del saraceno. Eh, sì, come mi piacevano quelle scarpe mai viste, forse comprate in Regent street, a Londra.

Belle facce, parole elevate, si capiva che quella gente non era lì, come i volgari comunisti, socialisti, democristiani e missini, per rubacchiare con l'inganno un voto, se non addirittura dei milioni d'allora. Nei discorsi partivano sempre da Croce, Einaudi, Risorgimento, dicevano cose che - sant'Iddio - avrebbero convinto anche i gatti, tanto gridavano signorilmente vendetta, ma poi, quando erano ormai faticosamente arrivati all'età contemporanea, alla politica in corso, molti degli spettatori se n'erano già andati, distrutti. E così, le cose da fare per il futuro, le proposte, non le ascoltava, né forse le diceva mai nessuno.

Pensavo a quella lentezza antica, a quella nobiltà inutile, a quella grandiosa gravità senza idee, quando si ricostituì lo scorso anno il Partito liberale italiano. Di nuovo belle parole, un bel segretario politico dalla faccia nobile e per bene, un vero liberale insomma. Ma il "fare", il permettere agli altri di fare, l'immagine, le nuove idee, la polemica politica, la propaganda tra la gente, la psicologia politica, l'arte della comunicazione, l'ufficio stampa, l'organizzazione di segreteria politica, il confronto quotidiano con gli altri partiti e i giornali, i programmi da realizzare entro un mese, un semestre, un anno? Nulla. Ma non un nulla vuoto, che sarebbe stato possibile riempire, piuttosto un nulla mobile, gattopardesco, che si rinnovava sempre di nuovi, apparenti, labili, contenuti. E che quindi impediva anche al più volenteroso di intervenire, di dare una mano, in cambio d'un "grazie". Nulla, e neanche il grazie arrivava ai rarissimi che una volta tanto collaboravano.

Fuori, intanto, tutti si definivano "liberali", il 40 per cento degli italiani non si sentiva rappresentato né dalla Destra né dalla Sinistra. E davvero anche un marziano avrebbe capito che i liberali non potevano essere meno del 30 per cento in Italia, Paese europeo, occidentale, sviluppato, dopo la caduta del comunismo, e la diffusione del mercato e delle regole di concorrenza tra la gente. E invece? Dentro il PLI silenzio e immobilismo come vent'anni fa. La finzione snob di essere pochissimi, una "frangia", anche se muta e immobile. La retorica degli "ultimi giapponesi". Il masochismo voluttuoso, eroico ed erotico, dello 0,3 per cento. Comodo, no? Per poter continuare nel non far nulla accidioso e meridionale. Per non dover affrontare la concorrenza di altri leader liberali ben più preparati, giovani, grintosi e vincenti che si affacciavano nel Paese. "Meglio quattro gatti sfigati e provinciali - deve essersi detto qualcuno - così nessuno mi farà le scarpe..."

E sono continuati i bei discorsi. E come sempre, addormentati dalle acute analisi politiche e dall'oratoria avvocatesca di De Luca, un vero liberale del resto, quasi impossibile da criticare per quello che diceva, pochi ascoltatori resistevano fino alla fine. Tanti, dei pochissimi, se ne andavano. Che fare? Nulla. Perché nulla era previsto che si facesse. E che, un partito, specialmente se liberale, tanto più se vuole reincarnarsi nell'ombra del vecchio PLI, Grande e Nobile Partito già defunto prima di scomparire, deve forse "fare qualcosa"? Abbassarsi al servile lavoro politico? Macché, è solo il partito della Memoria. Altro che appelli ai cittadini per una grande rifondazione liberale. Ci si accontentava, tutt'al più, di implorare non una poltrona, ma uno strapuntino, alla Casa delle libertà.

Infatti, un giorno, telefonando a un amico d'un amico, scoprimmo che il Gattopardo "pur non facendo nulla faceva tutto lui". E molto intensamente. Come ci aveva riferito un terzo amico, aveva incontrato alla buvette di Montecitorio il tale politico di Forza Italia, uno di quelli che sanno tutto e hanno sempre le mani in pasta. Anzi no, disse un altro, aveva visto uno del nuovo o vecchio Psi, o meglio, un vecchio amico repubblicano. Macché, tutte voci infondate, disse un quarto, giornalista all'Opinione. In realtà aveva “inciuciato” con un tale, sedicente segretario della "nuova Dc", tale Rotondi, politico sconosciuto ai più. E lì per lì di fronte alla tazzina di caffè aveva deciso un'alleanza strategica o tattica per presentarsi uniti alle elezioni. Ah, bene, cioè male. Ma allora che si fa? Come sempre: nulla. Al massimo si comunica l'Alta decisione, a cose fatte, agli amici del Consiglio nazionale del PLI. Così, per una ratifica ex-post, come si faceva nel 700 nei governi retti dalle costituzioni octroyeés. Figuratevi i liberali di base, incavolatissimi. Meno male che all'ultimo, sia i neo-neo-neo-socialisti, sia i neo-neo-neo-democristiani (la Prima Repubblica, si sa, ha lasciato molti nei) si sono guardati negli occhi e hanno esclamato all'unisono: "Ma chi sono questi del PLI? Che vogliono, chi li conosce, che hanno fatto finora?".

E così, caduto il castello di carte, purtroppo il Segretario-Gattopardo, ancorché vero liberale, se ne è tornato al Consiglio con le pive nel sacco. Minchia, eppure era convinto che per fare politica in stile Prima Repubblica non bisognasse fare proprio nulla, zero propaganda, zero attività politica, sede inattiva tutto il giorno, e bastasse solo incontrare gli altri politici al caffè.

Vabbè, sarà per un'altra volta. Per "fortuna", si consolano ora nella base liberale, l'abbiamo scampata bella. E sì, perché, anche se virtuale, un po' ci sarebbe dispiaciuto che un'etichetta col nome PLI si fosse imbarcata in qualche buffonata. Ora sì, caro Segretario-Gattopardo, che siamo d'accordo con la tua filosofia: meglio che fai tutto tu, senza fare nulla, s'intende. Promesso? Cambiare perché nulla cambi. Come sempre, del resto. Viva Croce, Einaudi e il Risorgimento.
NICO VALERIO


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