22 aprile 2006

 

Lamedica: "Macché Neo-Lib, ci vuole la radicale alternativa liberale a Ds e Sn"

Sul sito Neolib si legge: "NeoLib è il progetto che si prefigge come obiettivo il raggiungimento dell'unità di tutti i liberali, i liberisti, i libertari dispersi nella scena politica attuale". E la scelta per lo schieramento di centrodestra è giustificato dalla seguente frase: "Credo che ormai, vista l'esperienza vissuta dai radicali di Pannella durante il periodo terzista, che li ha visti per 15 anni fuori dalla scena politica italiana, sarebbe il caso di non intraprendere ulteriormente la strada del terzo polo. Essendo costretti a schierarci con qualcuno, ovviamente, scegliamo il centro destra".
Ma la cosiddetta proposta NeoLib è né più né meno quanto Diaconale e Giacalone avevano proposto nel giugno 2004. A suo tempo, infatti, Diaconale e Giacalone, prevedendo una vittoria del centrosinistra in danno della propria parte politica, invocavano la costruzione di una grande area liberalsocialista per controbilanciare il decremento elettorale di Forza Italia in confronto agli altri partner della coalizione.
Dal punto di vista di Diaconale il sistema politico non soffrirebbe per un deficit di riforme liberali, vista la predominanza dei conservatori, ma dalla possibile perdita del potere di governo da parte del centrodestra. Di qui un aiuto da un soggetto politico liberal-socialista. (E al sottoscritto che vedeva in questo progetto il ruolo, per i laici, di "ruota di scorta", Diaconale sottolineava che il soggetto liberalsocialista avrebbe svolto, invece, il ruolo di "ago della bilancia" tra le componenti della coalizione di centrodestra.)
Il soggetto liberalsocialista immaginato da Diaconale non è sorto, ma alcuni liberali, democratici e socialisti sono accorsi al capezzale del centrodestra berlusconiano ed hanno tamponato la pericolosa (per Diaconale) dèbacle, ottenendo un sostanziale pareggio alle ultime consultazioni politiche.
Ora, senza alcuna riflessione sull’assenza della democrazia liberale, si rilancia il progetto con una modifica: liberali e socialisti in soggetti separati ma poi federati tra di loro, sempre a sostegno della CdL. E si esclude qualsiasi soluzione di radicale alternativa liberale (al centrosinistra e a questo centrodestra) perché si ritiene fallimentare l’esperienza dei radicali di Pannella "durante il periodo terzista".
Ma qui casca l’asino. Il cosiddetto "periodo terzista" dei radicali di Pannella ha visto il successo politico ed elettorale di un’area liberale (anno 1999). Non solo i radicali con la "candidatura" Bonino furono al centro del dibattito politico imponendo un confronto virtuale tra la possibile "repubblica presidenziale" e la "reale repubblica partitocratrica", ma riuscirono a tradurre in firme ai referendum "liberali e liberisti" e in voti alle elezioni europee le simpatie per una rivoluzione liberale possibile.
Si era riusciti, armandosi di umiltà, ad avere le simpatie di moderati e non solo di radicali, di riformisti e non solo di riformatori, per un progetto di riforme liberali e liberiste che avrebbero creato un clima favorevole anche per riforme libertarie. Ed invece "i radicali di Pannella", abbandonando il proprio atteggiamento di umiltà, affrontarono con la strategia dei "duri e puri" sia le regionali e i referendum del 2000, sia le politiche del 2001 e la stagione dei progetti di legge di iniziativa popolare. Di qui anche le difficoltà incontrate con altri compagni di strada nella recente campagna referendaria sulla legge "contro" la fecondazione legalmente assistita.
Quindi l’autoisolamento dei radicali di Pannella in confronto ai successi del 1999 (ed ora la strategia dell’ospitalità) convincono sempre più la necessità del ritorno a quella strategia vincente della radicale alternativa liberale (quindi non si è costretti a scegliere uno schieramento) invece del progetto NeoLib-Diaconale che crea l’illusione di poter far diventare liberali e socialisti "ago della bilancia" tra i conservatori di centrodestra.
In conclusione, quello che ci divide dal progetto NeoLib-Diaconale è la diagnosi sull’assenza di democrazia liberale quale causa dell’esistente regime partitocratrico. Perciò l'obiettivo principale è mettere assieme moderati e radicali, riformisti e riformatori, per chi è consapevole che in Italia non c’è democrazia liberale.
In altre parole, occorre creare un nucleo aggregatore per attirare i delusi e i disgustati di questo centrodestra e di questo centrosinistra, al fine di realizzare le riforme per la modernizzazione delle istituzioni, dell'economia e della società. In via subordinata, al fine di costringere le componenti del centrodestra o del centrosinistra a sostenere quelle riforme, per impedire la fuga dei loro simpatizzanti verso lo strumento dei cittadini senza potere, che il soggetto politico "di" liberali potrebbe rappresentare.
BEPPI LAMEDICA

Comments:
Visto che non avete pubblicato il mio articolo lo posto come commento...

I liberali visti dall'Europa
Da liberale europeo dovrei essere soddisfatto dei risultati delle elezioni italiane: i partiti membri dell’ELDR hanno ottenuto risultati in netto miglioramento rispetto al passato.

L’Italia dei Valori di Di Pietro non è andata male ed i Radicali Italiani (con un’alleanza elettorale con i socialisti) sono tornati in Parlamento dopo una lunga assenza.

Dicevo, dovrei essere soddisfatto, ma non riesco ad esserlo quando vedo che il liberalismo italiano è rappresentato in Europa da un partito che più che liberale è giustizialista e da un movimento che non ha battuto ciglio quando i socialisti, loro alleati, hanno detto che “sulle libertà economiche i radicali dovranno ammettere di aver sbagliato per anni”.

Non riesco ad essere soddisfatto perché alle elezioni gli altri due partiti liberali che si sono candidati solo in qualche regione, il PLI ed i Riformatori Liberali, hanno raccolto troppo poco. Ed altri partiti ancora, come la Federazione dei Liberali o i Liberali per l’Italia, non si sono nemmeno riusciti a candidare.

Da liberale europeo guardo i liberali italiani ed i sentimenti che mi assalgono sono la rabbia e la delusione. Rabbia perché vedo patrimoni di idee e grandi capacità intellettuali male utilizzati, vedo divisioni in correnti surreali e mancanza di progetto e di lungimiranza. E, di conseguenza, delusione per i risultati elettorali pessimi e per il fatto che, stando così le cose, non si vede una via d’uscita.

Insomma… non ci resta che piangere. O meglio, non ci resterebbe che piangere se non fosse per un mondo virtuale in cui il liberalismo germoglia e fiorisce in una miriade di iniziative di micropolitica.

Vado sul sito www.Tocque-Ville.it e ci trovo 800 blog, quasi tutti di ispirazione liberale. Ultimamente sono addirittura partite delle iniziative nelle quali la parola d’ordine è “fusionismo” ed il cui obbiettivo è l’unificazione dei liberali. Certo, non sono i primi tentativi in tal senso: diverse sono le iniziative che negli anni passati ci hanno provato e sono fallite. C’è però chi ritiene che i tempi siano maturi per portare in porto un simile progetto.

All’inizio ero fiducioso anch’io, ma c’è stata una disputa che mi ha fatto meditare e diventare un po’ scettico. Il giornalista Luca Tentellini ha criticato l’iniziativa fusionista lanciata da Jinzo (http://www.italianlibertarians.splinder.com/ ) sul sito www.neolib.it definendola dilettantistica e priva di fondamenti culturali. Di fronte a questa nuova divisione sul nascere di un’iniziativa fusionista ho provato di nuovo rabbia e delusione.

Poi però mi sono chiesto come mai un liberale attacchi i suoi “simili” definendoli ignoranti e dilettanti invece di apportare la sua cultura e la sua professionalità e proponendosi come una delle guide del neonato progetto che, in fondo, sta raccogliendo molte adesioni ed ha trovato anche uno spazio sulla carta stampata grazie all’attenzione che gli ha rivolto il quotidiano liberale l’Opinione.

Alessio Di Carlo (http://luxor.ilcannocchiale.it/ ) individua le cause dell’impossibilità di riunire i liberali in questi due fattori: “- da un lato la ritrosia da parte dei dirigenti dei vari gruppi a fare un passo indietro in nome della creazione di un soggetto aggregatore che, in quanto unico, comporterebbe una riduzione, gioco forza, dei ruoli di leadership;
- dall'altro, un limite culturale dovuto alla tendenza individualista e talvolta consevatrice che è stata la ricchezza ed al tempo stesso il limite dei movimenti liberali.”

A mio modo di vedere a questi due punti ne va aggiunto un terzo, forse ancora più importante: l’anomalia italiana dovuta principalmente a tangentopoli, al passaggio da un sistema proporzionale ad un sistema bipolare ed all’imporsi sulla scena del personaggio di Berlusconi.

In seguito a tale anomalia abbiamo partiti cattolici di destra e di sinistra, partiti liberali di destra e di sinistra, addirittura partiti socialisti di destra e di sinistra e, ultimamente, radicali di destra e di sinistra.

In questa “situazione ambientale” di un panorama politico bipolarista in cui le coalizioni si formano attorno alla leadership di Berlusconi da una parte ed attorno all’ideologia antiberlusconiana dall’altra parte qualsiasi nuova iniziativa tende a partire dal posizionamento strategico in uno o nell’altro polo. E su tale tema del posizionamento strategico va ad arenarsi qualsiasi iniziativa liberale fusionista: unirsi va bene, ma per stare con chi?

Alla luce di ciò me permetto di interpretare in questo modo la critica di Tentellini sulla mancanza di basi culturali dell’iniziativa NeoLib: la cultura liberale non può essere ridotta ad un sottoprodotto del centrodestra berlusconiano.

Un progetto fusionista liberale non dovrebbe ridursi a riunire i liberali “di destra” ma dovrebbe innanzitutto puntare ad affermare il liberalismo, la propria missione ed il proprio programma.

L’opzione strategica-elettorale dovrebbe essere un aspetto secondario della politica, mentre in certi momenti ed in certe iniziative viene messa in primo piano tanto che non si capisce se essa sia uno strumento della politica o se sia diventato un fine. In altre parole: l’obbiettivo è fare un partito liberale o far vincere il centrodestra alle elezioni?

La differenza di visione può derivare anche dal fatto che i liberali si dividono tra quelli che appartengono ad una generazione che si è formata in un sistema proporzionale e quelli che si sono formati nel sistema del bipolarismo anomalo. Nel proporzionale si affermava la propria identità e le coalizioni di governo nascevano dopo le elezioni. Oggi in Italia i partiti non devono affermare solo la propria identità, ma anche l’appartenenza ad una coalizione.

Ecco cosa penso, da liberale europeo, su tale critica sull’assenza di basi culturali: essendo liberista, nel breve periodo mi sta bene che ci si allei con il centrodestra. E per questo ho aderito all’iniziative di NeoLib.

Devo dire però che non si può fare un nuovo partito caratterizzandosi in modo troppo marcato per l’appartenenza alla coalizione che ruota attorno alla leadership di Berlusconi: Berlusconi non è eterno, ha una certa età (e gli auguriamo che campi ancora molto a lungo) e domani potrebbe accorgersi di averne le palle piene e decidere di godersi i suoi miliardi alle Bahamas. Ci troveremmo ad essere i liberali del centrodestra assieme ai posfascisti di AN, ai populisti della lega, ai cattolici dell’UDC e a Forza Italia.

Ma chi sarà il successore di Berlusconi in Forza Italia? Dobbiamo ammettere che le situazioni sarebbero molto diverse a seconda che il successore di Berlusconi sia Formigoni, Pisanu, Tremonti o Martino.

Ecco che, su questo ha ragione Tentellini, ragionando sul lungo periodo bisogna mettere la cultura liberale al centro di un’iniziativa liberale che voglia costituire il partito liberale del domani, e lasciare alle strategie elettorali un ruolo marginale.

Ma mettere la cultura liberale al centro di un’iniziativa non è facile, anche perché il liberalismo non è un monolite ma un’insieme aperto di infinite idee. Quale liberalismo, allora? Un liberalismo attento alle moral issues, che nei paesi anglosassoni non avrebbe problemi a governare assieme ai democratici o ai laburisti, oppure un liberalismo basato sul liberismo, che nell’Europa continentale risulterebbe incompatibile con la sinistra. Un liberalismo che raccoglie le firme sulla ricerca scientifica assieme ai comunisti, o un liberalismo che flirta con gli anarcocapitalisti sui temi dell’ingerenza dello Stato nelle nostre vite e nelle nostre tasche.

A seconda del peso che si dà alle varie tematiche, nascono iniziative diverse. Quella dei NeoLib sembra essere fondata su temi economici e su altre tematiche care all’attuale centrodestra (come ad esempio il giustizialismo), altre iniziative, fondate sulla laicità e sui diritti civili, hanno visto nascere la Rosa nel Pugno dall’unione di radicali e socialisti.

Non dimentichiamo poi il tentantivo del Polo Laico di Taradash e Sgarbi di qualche anno fa o l’iniziativa dei Centouno (www.pensalibero.it ), che è partita dai socialisti ma sta raccogliendo molte adesioni tra i liberali. Per non parlare poi della Costituente liberale che da sempre, anche su www.Liberalcafe, propongono i giovani della Federazione del Liberali o delle iniziative di Nico Valerio e dello stesso Tentellini su http://liberali-italiani.blogspot.com.
Ma si finisce sempre per creare un partito di nicchia che non ottiene risultati apprezzabili ed è destinato a scomparire in breve tempo.

Che fare, allora? Da liberale europeo dico: facciamo il partito liberale europeo. Un partito che, in Italia, raccolga tutti i liberali in vista delle elezioni europee del 2009. Là si partecipa con il proporzionale puro. Non ci si dovrà dividere tra liberali di destra e liberali di sinistra ma ci si potrà riunire tutti: liberali attenti ai diritti umani, ai diritti civili, alla libertà economica, alla laicità, alla diffusione della democrazia nel mondo, all’ingerenza dello Stato nella vita dei cittadini. Si potrà affermare la cultura liberale senza doversi connotare come berlusconiani o antiberlusconiani.

Non solo: affermiamo la cultura liberale europea e facciamo un partito liberale europeo che sia presente davvero in tutti i paesi d’Europa. Allora in Gran Bretagna non avremo problemi a governare con i Labour di Blair ed in Spagna con i socialisti Zapatero, oppure in Germania con la CDU-CSU, come fanno i liberali tedeschi. Questi ultimi, tra l’altro, non hanno problemi a governare in alcune regioni con i socialisti, quando le “condizioni ambientali” lo rendono opportuno.

E in Italia? In Italia decideremo di volta in volta, valutando in base alla situazione politica ed alla legge elettorale. E tenendo ben presente che, in un mondo globalizzato ed in un’Europa Unita, le alleanze strategiche ed elettorali che fanno i liberali a livello nazionale italiano sono solo piccoli giochi tattici di politica locale.

di Gionata Pacor
 
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