5 novembre 2008

 

Evviva l’America e Obama, nuovo attore come tanti, sul palcoscenico del Mondo

Al nuovo presidente eletto degli Stati Uniti, Barak Obama, i liberali italiani inviano l’augurio più compiaciuto e fraterno.
Perché la più antica democrazia liberale al mondo dimostra di funzionare bene anche in periodi di grave crisi economica, occorsa perché qualcuno tra politici e controllori finanziari si era dimenticato di far rispettare le regole del mercato.
Perché gli Stati Uniti sanno integrare subito non solo i nero-americani, ma addirittura i figli degli immigrati africani recenti. Altro che Europa.
Perché Obama ha espresso nella sua carriera un livello di eccellenza e di merito fin dall'università, lontanissimo da quello che si richiede di norma nella corrotta Italia, dove a Destra e a Sinistra governano per lo più i mediocri e buoni a nulla, e dove l'intera società è fondata sui "figli di papà" e sulle raccomandazioni, amicali o politiche. Altro che merito. Perché Obama ha assimilato subito e bene la liberal-democrazia delle libertà e dell'uguaglianza dei punti di partenza, dell'intelligenza e della concorrenza. Merito suo, ma anche merito della società in cui vive. Altro che Italia.
Ma anche perché la democrazia degli Stati Uniti sa essere elastica, non rigida, lenta, tradizionalista e gerontocratica come quella dei Paesi d’Europa (con l'Italia in prima fila), e perché eleggendo per la prima volta un nero di 49 anni, figlio del miscuglio di etnie su cui si fonda la società americana, per di più accettando la promessa d’un "cambiamento" - bisognerà poi vedere quale - l'America mostra di conservare il coraggio e l’amore per le novità e il Progresso tipici dei liberali, di qualunque scuola siano.
Perché, infine, Obama, che dice di ispirarsi al liberale Lincoln, più che rappresentare il Partito Democratico, è l'espressione trasversale di un'America nuova, anticonformista, sognatrice, forse ingenua, in rappresentanza di numerose minoranze, dei giovani, dalle donne
e del cittadino qualunque, che si opponeva alle aride burocrazie conservatrici.
Com'è giovane l'America, disposta sempre a ricominciare, a rischiare, a scommettere sul nuovo, a mettersi in gioco. Com'è vecchia l'Europa, com'è decrepita l'Italia.
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In realtà della politica e della psicologia di Obama, tranne il suo curriculum brillante e la sua intelligenza, che gli ha suggerito di trasmettere entusiasmo e passione ai congressisti del Partito Democratico e agli elettori, noi non sappiamo niente. Come ignoravamo tutto della vera natura di McCain o di Bush. Certo, non gli sarà difficile apparire dieci volte più intelligente di Bush.
D'accordo, il sistema è più importante dei singoli in America. Strano, no? Perché il luogo comune sui "valori dell'America" che sopravvive in Europa dice semmai il contrario.
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Ma l’animo di un uomo è imperscrutabile perfino ai suoi familiari, amici e colleghi più assidui. Non è facile capire quali sentimenti nobili, banali o abietti, quali finalità segrete egli nasconda. Solo gli atti esterni potrebbero darci una traccia.
Eppure questa teoria del "political behaviorism", del comportamentismo politico, è smentita dai commentatori più tecnici, che spiegano col consueto cinismo come e qualmente nelle moderne democrazie perfino i presidenti oggi rischiano di essere irrilevanti, controllati come sono da anonimi staff, lobbies industriali e commissioni consultive.
I presidenti, perfino loro, sono dunque solo delle controfigure, degli uomini "immagine" necessariamente mediocri? Ma se così è, a dirigere tutto sono i burocratici apparati dei partiti, dove regnano le mezze figure, i politici più squallidi. E che cosa sappiamo di loro? Nulla.
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Figuriamoci quanto poco possiamo rallegrarci o dispiacerci, in particolare, per l’elezione di Obama, misurato con le parole, attore consumato abile anche nei dietro-front, umbratile, calcolatore, insomma capace di tutto, come tutti i politici arrivati al successo, anche nella "liberale" America. Tutto di lui, quando lo vedremo all’opera, ci darà sorpresa e delusione. E tutto sarà possibile, come anche il suo contrario, finché non lo vedremo all’opera. E anche dopo.
Questo lo diciamo non per rifare il verso a Seneca o Shakespeare, ma perché abbiamo visto che la politica non solo non attira i migliori, ma è corruttrice anche di quelli ritenuti i migliori. L’ambizione smodata del successo, l’amore per il comando fine a se stesso, il voler eccellere nel potere sugli altri anziché realizzare individualmente opere proprie, sono una droga che affascina e lega molti che non hanno altre virtù, che spesso non hanno capacità o valori propri da coltivare, e che perciò scelgono di vivere in esclusiva relazione con gli altri. Ma stanno tra la gente, tra gli altri politici, al puro scopo di carpirne la benevolenza, il voto, per poi poterli dominare. E attraverso di loro dominare il popolo, il mondo.
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Oggi che l’americano democratico Obama è stato eletto presidente degli Stati Uniti, con grande margine sul repubblicano McCain, ci accorgiamo che entrambi erano e sono delle icone. Di loro non sappiamo nulla di più di quello che loro stessi e i rispettivi uffici stampa hanno voluto che si sapesse. Attori, grandi, buoni, ma più spesso mediocri, sulla grande scena del Mondo. E il pubblico, gli spettatori, contano solo per far numero. Vedremo chi sono i registi.

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