29 gennaio 2007

 

Pagliuzzi: "Caro Morelli, non hai capito che Destra Liberale è di destra?"

Alle critiche replica così Gabriele Pagliuzzi, coordinatore di Destra liberale- Liberali per l'Italia.
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Caro Morelli, mentre aspettavo, invano, una tua comunicazione per il completamento e il via al manifesto di Benevento, mi giunge per conoscenza una e-mail con la quale comunichi agli amici in elenco che su segnalazione di Giuseppe Lamedica ti sei accorto che la mia posizione di destra e quella del movimento Liberali per l’Italia (che pure il termine destra ce l’hanno incorniciato nel simbolo) è incompatibile con il neonato coordinamento dei liberali.
Se è così mi viene da considerare che devi essere parecchio duro di comprendonio.
Ma come, solo pochi giorni addietro, per spiegarti per l’ennesima volta che il preannunciato convegno di Benevento se voleva avere un significato lo doveva trovare nella ricomposizione dialettica dei due filoni del liberalismo italiano, ti avevo addirittura portato ad esempio storico (da te non confutato), il fatto che nel 1922 noi saremmo stati con i liberali nazionali di Sarrocchi e Scialoja e non, con tutto il rispetto, con Gobetti….!!
Mi spiace rilevare nella tua prosa e in quella di Lamedica toni da sinedrio e da sacre bolle: non avreste potuto permettervelo ai bei tempi di Zanone, figuriamoci adesso!
Il fatto è che non ho mai inteso il coordinamento un partito politico ma più pragmaticamente una tavola di discussione e se possibile di costruzione.
Quanto al manifesto, tra l’altro onesto e condivisibile in ampie parti, non mi pare avesse altra caratura che quella di generale comun denominatore per poter star seduti tutti intorno ad un tavolo.
Infine che il movimento politico a cui appartengo e che, ripeto, si chiama Destra Liberale-Liberali per l’Italia sia di destra e quindi debba parlare con il Centro destra mi sembra cosa pacifica.
Questo però non vuol dire non contestare questo bipolarismo fasullo, battersi per il No al referendum sul federalismo, così come è avvenuto, contrastare leggi elettorali liberticide, esperire possibilità di presenza autonoma dagli attuali schieramenti ecc. ecc.
Ma questa è politica. Cosa diversa dai sinedri e dalle sacre bolle dai quali sono stato d’autorità e senza appello "defezionato".
Chissà che un giorno, se ce ne sarà ancora il tempo, finito di borbottare con le e-mail e giocare alla politica di salotto, ci si ritrovi sul campo vero della libertà. Noi sicuramente ci saremo.
GABRIELE PAGLIUZZI, Destra Liberale-Liberali per l’Italia

 

Marchioro: "Ma basta con questo Destra-Sinistra, sono la stessa cosa"

Ecco la posizione di Michele Marchioro, dei Liberaldemocratici Veneti.
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Premesso che condivido il pensiero di Lamedica e di Morelli, consentitemi nonostante la mia scarsa esperienza politica, di esprimere anche il mio pensiero.
1) Il coordinamento, da quel che è espresso nel Manifesto, nasce per riunire i liberali con i liberali. E' basato sui valori chiaramente espressi nel proprio testo, e non nasce solo come un tavolo per dialogare. Il dialogo che vi si svolge ha già una caratterizzazione: la costruzione di una Unità liberale. Che si realizzi in 2, 3, 10 o 20 anni.
2) In un'Italia nella quale il potere è accentrato nelle segreterie di pochi partiti, il sostenere gli uni o gli altri è di per sé pura follia. Piuttosto, è meglio scomparire ed emigrare. Continuare a dar spazio, voce e forza a questi partiti è inutile dal punto di vista politico e utile solo per ricavare il proprio spazio di sopravvivenza.
3) Nel discorso di Destra Liberale è scritto "Non c’è dubbio che i soldi e la forza mediatica della macchina berlusconiana costituiscano oggi la condizione necessaria nella quale il campo opposto alla sinistra possa operare con probabilità di successo"
Personalmente io non sono opposto alla sinistra e quindi possibilista verso il centro destra per oppormi alla sinistra, io sono promotore delle libertà. A dispetto del nome "Casa delle Libertà", è chiaro nei fatti che il centro destra non è liberale e non è meglio della sinistra. Statalisti gli uni quanto gli altri. Antidemocratici gli uni quanto gli altri. Questa contrapposizione berlusconiani-antiberlusconiani, comunisti-anticomunisti, è fasulla e ha un solo scopo per i due poli: accentrare attorno a loro la politica ed escludere le alternative. Noi, invece, siamo l'alternativa.
4) Sempre dal discorso di Destra Liberale "Più che fazioni, solidità di tenuta delle comuni convinzioni. Più che distinguo politichese, coraggio e determinazione di programmi. Se il processo di razionalizzazione in corso sul versante del Centro-Destra, che è quello che ci interessa, è il dialettico bacino di riferimento per la nostra posizione liberal-nazionale non vi sono motivi per respingere questa opportunità.".
Allora, anche se non mi conoscete, io sono un contestatore dei discorsi penzolanti e dei politici circuitori. O Destra Liberale vuole sostenere questo bipolarismo, oppure Destra Liberale si sente liberale e vuole realizzare il suo motto "Patria e libertà". Non c'è via di mezzo.
La via di mezzo io la interpreto così: "Siccome voi liberali siete pochi, deboli e senza un soldo, e il centrodestra invece vincerà le prossime elezioni, ha cura della patria ed ha soldi da regalare, allora con voi parliamo mentre attendiamo che loro ci chiamino alle armi".
Mi sento veramente offeso da questa situazione per un semplice motivo: che fiducia posso avere io oggi in Destra Liberale, che mi dimostra così chiaramente di non volersi schierare apertamente? Che cosa ha paura di perdere Destra Liberale facendo questa scelta? Ci tradirà qualora ne avessimo bisogno e andrà sotto le ali di mamma AN? Magari ha già un accordo col centrodestra, che sta reclutando chiunque pur di vincere le amministrative (compreso me)?
E in tutto questo non voglio togliere l'autonomia dei singoli aderenti, ma voglio sottolineare la mancanza di coerenza nei confronti del manifesto. Caro Pagliuzzi, questa cosa non può essere bianca e nera, o è bianca o è nera. Altrimenti è grigia. Se è grigia, dillo subito e chiaramente, almeno per coerenza e lealtà verso il coordinamento.
Concludendo, ribadisco che è necessario che i singoli aderenti, pur nella loro autonomia, chiariscano le loro posizioni. Siamo contrari a questa classe dirigente dittatoriale e finta? Vogliamo riprendere in mano il paese?
Se sì, allora basta con lo stare qui a fare distinzioni come dei bambini d'asilo o, più volgarmente, come dei politici "all'italiana". Nessuno di noi riuscirà in questo panorama politico a realizzare i propri ideali, perchè questo panorama politico è costruito proprio per schiacciare gli ideali delle persone. Riaffermiamo nuovamente i nostri ideali e rimettiamoci al lavoro seriamente e con coerenza.
E se Destra Liberale ha capito qualcosa dovrebbe precisare chiaramente che "La partecipazione doverosa alla manifestazione di Roma contro questa legge finanziaria non ci lega in alcun modo al tentativo del centrodestra di riprendere in mano il potere, bensì ci fa promotori del tentativo di riportare il potere nelle mani dei cittadini."Ho parlato quanto basta
MICHELE MARCHIORO, dei Liberaldemocratici Veneti

 

Morelli: No, Pagliuzzi, noi liberali non moriremo berlusconiani"

Ed ecco la posizione di Raffaello Morelli sull'articolo di Pagliuzzi.
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La mail di Beppi Lamedica sulle riflessioni di Gabriele Pagliuzzi trasmesseci a metà settimana, centra la questione politica che ci riguarda e ci coinvolge come Coordinamento. Purtroppo quelle di Gabriele Pagliuzzi sono riflessioni che delineano una linea politica contrapposta a quella del Manifesto del Coordinamento.
Il ragionamento essenziale di Pagliuzzi è riassumibile nei seguenti brani : "Non c’è dubbio che i soldi e la forza mediatica della macchina berlusconiana costituiscano oggi la condizione necessaria nella quale il campo opposto alla sinistra possa operare con probabilità di successo......
Per tutti questi motivi, ed altri ce ne sarebbero ancora, la tentazione di una posizione autonoma e critica nei confronti dei due poli che sempre di più rappresentano la pantomima di un vero sistema di alternanza liberale e che aspettano di trasformarsi in partiti unici per meglio monopolizzare consenso e rappresentanza, è grande.
Tuttavia questa ambizione rischia di diventare un’arma controproducente e dai costi irraggiungibili. Il popolo di Roma in mezzo al quale ci siamo trovati benissimo e con il quale si è respirata un’aria di condivisione istintiva si aspetta altre cose.
Più che fazioni, solidità di tenuta delle comuni convinzioni. Più che distinguo politichese, coraggio e determinazione di programmi. Se il processo di razionalizzazione in corso sul versante del Centro – Destra, che è quello che ci interessa, è il dialettico bacino di riferimento per la nostra posizione liberal-nazionale non vi sono motivi per respingere questa opportunità."
Dunque Pagliuzzi teorizza l'essere berlusconiani come un destino, caratterizza i liberali in negativo come campo opposto alla sinistra, qualifica la precisa posizione del Manifesto del Coordinamento a favore del raggruppare i liberali con i liberali come tentazione ambiziosa e controproducente. La sola cosa che gli interessa è il processo di razionalizzazione del centro-destra. Il che di fatto significa quanto meno l'adesione al disegno conservatore dei popolari europei (di cui non a caso tutti e tre i maggiori referenti del centro destra o fanno già parte o aspirano a far parte) e il tentativo di negare l'innegabile, e cioè negare l'esperienza decennale per cui il centro destra non attua una politica liberale nemmeno avendo una larga maggioranza. E' insomma una linea esattamente contraria alle posizioni politiche del Manifesto del Coordinamento sottoscritto da Pagliuzzi medesimo.
Credo che proprio la autonomia tra i gruppi firmatari enunciata nel Manifesto sia un modo forte e liberale per valorizzare il comune riconoscersi nel filone politico culturale richiamato in dettaglio nell'intero corpo dello stesso Manifesto. Quando si utilizza l'autonomia per contestare questo filone, si vanificano le ragioni per far parte del Coordinamento. Non è questione di dibattere su un'iniziativa e su aspetti organizzativi o grafici. E' fare una scelta centrifuga rispetto al liberalismo. Poi si può anche provare a chiamare liberalismo questa contestazione , ma è come ribattezzare il montone chiamandolo pesce per poterlo mangiare di venerdì.
La defezione di Gabriele Pagliuzzi e di Liberali per l'Italia mi dispiace – perché nelle poche settimane di adesione pareva avviato uno spirito collaborativo – ma alla luce dei fatti è un positivo atto di chiarezza. Spero così che il convegno di Benevento sia un altro passo sulla strada dell'impegno dei liberali che vogliono stare in politica come tali. Con i sacrifici che il compito merita e con la coerenza che esige. Per questa strada, noi ci sforziamo davvero di arrivare al superamento dell'attuale bipolarismo che è inadeguato ai reali bisogni liberali del paese perché rifugge dalla politica e da un reale confronto sulle scelte da compiere.
RAFFAELLO MORELLI, Presidente FdL

 

Lamedica. "Sono un'illusione le gocce liberali sulla Destra (o Sinistra)"

Così risponde all'articolo di Pagliuzzi il coordinatore di Veneto liberale Beppi Lamedica.
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Ho visto quanto contenuto nella newsletter della Destra liberale/Liberali per l’Italia (A.IV n.1): Vi è un "pezzo" del Pagliuzzi con il quale spiega la partecipazione del suo gruppo all’adunata romana del centrodestra.
Precisa il Pagliuzzi: "[…] Se il processo di razionalizzazione in corso sul versante del Centro-Destra, che è quello che ci interessa, è il dialettico bacino di riferimento per la nostra posizione liberal-nazionale non vi sono motivi per respingere questa opportunità.[…] Se le insorgenze liberali sparse per l’Italia si riconoscono in questi intenti e negli obiettivi che sintetizziamo ancora una volta nell’antico motto di "Patria e libertà", saremo, come sempre, pronti a creare condizioni comuni di attività e di presenza per dare risposta alle volontà espresse dalla moltitudine convenuta alla manifestazione romana che, al di là delle apparenze, non costituiscono un credito aperto e indefinito all’attuale organizzazione politica del Centro-Destra e alla sua leadership."
A me e agli amici di Veneto liberale è proprio questo che non interessa. Capisco che è una opportunità per trovarsi una nicchia per sé stessi, ma è proprio questo quello che ha impedito a far diventare i liberali protagonisti della lotta politica.
In altre parti del "pezzo" troverete ulteriori affermazioni che convincono dell’estraneità del gruppo Pagliuzzi dagli intenti del Coordinamento, come individuati da Veneto liberale.
A questo punto vale la regola dell’unanimità. L’iniziativa di Benevento è una iniziativa del Coordinamento se vi è il consenso di tutti. Mancando quello di Veneto liberale, non potrà più essere una iniziativa del Coordinamento. Il convegno di Benevento potrà essere un incontro dei liberali beneventani cui potranno partecipare, se lo vorranno, i singoli gruppi aderenti al Coordinamento illustrando le finalità della nostra iniziativa così come chiaramente indicata dal Manifesto.
Mi sembra che la manifestazione di volontà del Pagliuzzi di aderire al Coordinamento, sottoscrivendo il Manifesto, sia viziata in quanto è contraddetta da quanto contenuto nel "pezzo" che integralmente allego. Una volontà viziata pone nel nulla quella manifestazione di volontà, ergo essa è nulla, ossia come se quella manifestazione di volontà non ci fosse stata.
Non mi sono irrigidito improvvisamente, ma solo ora Pagliuzzi ha esplicitato pubblicamente il suo pensiero (oppure solo ora me ne sono accorto): "[…] Non c’è dubbio che i soldi e la forza mediatica della macchina berlusconiana costituiscano oggi la condizione necessaria nella quale il campo opposto alla sinistra possa operare con probabilità di successo. […] la tentazione di una posizione autonoma e critica nei confronti dei due poli […] è grande. Tuttavia questa ambizione rischia di diventare un’arma controproducente e dai costi irraggiungibili. […]"
La strada di inquinare il centrodestra o il centrosinistra con gocce di liberalismo, si è già dimostrata velleitaria e dannosa per il liberalismo e le libertà individuali. Quello che occorre è un soggetto "di" liberali che sia antagonista dei conservatori sé dicenti di destra o di sinistra. E’ un percorso difficile, ma, per ora, non vedo alternative, a meno che non si individui, quale lotta liberale, la nostra sopravvivenza personale. Ma questo non è il progetto di Veneto liberale.
BEPPI LAMEDICA segretario di Veneto liberale

 

Pagliuzzi: "Noi liberali di destra stiamo con la piazza di destra"

Dopo la riuscita manifestazione del Centro-Destra a Roma, culminata nell'adunata di piazza S. Giovanni, il sen. Gabriele Pagliuzzi, leader di Destra Liberale-Liberali per l'Italia ha scritto nel sito dell'associazione un articolo che pubblichiamo qui di seguito. Chi vuole, può leggerlo anche nella veste originaria.
L'articolo, che in sostanza vede come naturale, oggi, la presenza dei liberali italiani dentro la CdL, pur con alcuni distinguo, ha sollevato obiezioni e critiche nel Coordinamento dei Liberali Italiani, in particolare da parte di Beppi Lamedica (Veneto Liberale) e Raffaele Morelli (Federazione dei liberali), i cui interventi sono pubblicati dopo di questo. Alle due risposte critiche replica ki stesso Pagliuzzi con un suo ulteriore articolo chiarificatore. Tiportiamo l'intero filone del dibattito (NV).
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LA PIAZZA DI ROMA E LE SCELTE POLITICHE DEI LIBERALI ITALIANI
di Gabriele Pagliuzzi, 29 dicembre 2006
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Una pattuglia della Destra Liberale ha partecipato alla grande manifestazione di Roma contro il governo Prodi e la sua finanziaria. Nella multiforme presenza di simboli ascrivibili a tutto l’arco del Centro – Destra, salvo le note assenze, spiccavano, destando curiosità fra i convenuti più prossimi, le nostre bandiere.
Se meraviglia poteva essersi generata a ragione della nostra, per ora esigua, notorietà non vi erano dubbi per i più attenti che quella riportata sulle nostre insegne era un pezzo non secondario della storia politica italiana.
Perché dunque i liberali, quelli doc della Destra Liberale, in Piazza S. Giovanni?
Per più di un motivo. Innanzitutto perchè un governo così condizionato dalla sinistra più radicale sta inanellando tutta una serie di provvedimenti fiscali che esprimono una volontà punitiva e un odio di classe di cui si era persa memoria anche in un Paese come il nostro che non vanta certo salde tradizioni liberali.
Inoltre, la battaglia contro questa maggioranza contraddittoria, ma indiscutibilmente legata alle poltrone, è un’opportunità importante per attaccare un sistema di democrazia bloccata che dopo le speranze accese con il maggioritario ha riconsegnato il Paese all’arbitrio di consorterie e potentati senza ricambio e senza controlli.
In questo senso va letto il significato della stupefacente manifestazione che non solo ha superato in termini numerici ogni previsione degli organizzatori ma che ha anche spiazzato gli stessi leader della Casa della Libertà, investendoli di un mandato il cui soddisfacimento potrebbe non essere alla loro portata più che per ragioni anagrafiche o di salute per loro intima coerenza e determinazione riformatrice.
Non c’è dubbio che i soldi e la forza mediatica della macchina berlusconiana costituiscano oggi la condizione necessaria nella quale il campo opposto alla sinistra possa operare con probabilità di successo.
Però, come le ultime elezioni hanno dimostrato, questo non è sufficiente perché il moderatismo italiano, che è maggioritario nel Paese, ritrovi tutte le ragioni di adesione al programma del Centro-Destra.
I cinque anni di legislatura della Casa della Libertà da una parte hanno evidenziato le anomalie di un sistema bipolare a fronte esteso e dall’altro hanno provocato parecchie delusioni ai suoi elettori. Non ci sono stati per esempio passi importanti verso la semplificazione dello Stato e la riduzione dell’apparato pubblico. Anzi, con la crescita di nuove province e la catastrofica legge sul federalismo giustamente cassata, l’enfiagione della burocrazia è diventata un mostro sempre più minaccioso e incontenibile. Per non parlare dei costi ingiustificati dei partiti, della stampa assistita, delle mille greppie di cui si nutrono gli apparati pubblici. Ma su tutto preme l’assenza di un vero libero mercato, asfissiato com’è da posizioni dominanti e monopoli mascherati, talchè da convinti liberali diciamo che in assenza di un libero mercato vero è meglio una proprietà pubblica efficiente e non è detto che non possa esserlo alla faccia di Bruxelles.
Anche sul mito europeo e di riflesso sulle relazioni con gli Stati Uniti non si è visto da parte del vecchio Centro-Destra uno scatto di sano e convinto interesse nazionale con il risultato di rendere la nostra posizione nel Mediterraneo poco meno che di conserva a strategie in cui siamo completamente assenti. Di converso ci siamo impegnati con costi umani ed economici non trascurabili su scenari quali l’Irak e l’Afganistan senza un reale interesse per il nostro Paese, non potendo credere da liberi uomini di destra alla favola della democrazia da esportare nel mondo.
Per tutti questi motivi, ed altri ce ne sarebbero ancora, la tentazione di una posizione autonoma e critica nei confronti dei due poli che sempre di più rappresentano la pantomima di un vero sistema di alternanza liberale e che aspettano di trasformarsi in partiti unici per meglio monopolizzare consenso e rappresentanza, è grande.
Tuttavia questa ambizione rischia di diventare un’arma controproducente e dai costi irraggiungibili. Il popolo di Roma in mezzo al quale ci siamo trovati benissimo e con il quale si è respirata un’aria di condivisione istintiva si aspetta altre cose.
Più che fazioni, solidità di tenuta delle comuni convinzioni. Più che distinguo politichese, coraggio e determinazione di programmi. Se il processo di razionalizzazione in corso sul versante del Centro-Destra, che è quello che ci interessa, è il dialettico bacino di riferimento per la nostra posizione liberal-nazionale non vi sono motivi per respingere questa opportunità.
A queste condizioni: non farsi regalare mai niente da nessuno, affrontare con le proprie forze ogni utile verifica elettorale, provocare ogni volta che sia possibile momenti di unità e viceversa agire autonomamente laddove non ve ne siano le condizioni, insistere e propagandare con ostinazione i punti qualificanti della nostra posizione politica ed ideologica.
Dato che crediamo che i movimenti politici debbano nascere dal basso e consolidarsi nella coscienza dei cittadini e che quello di cui ha drammaticamente bisogno in questo momento il nostro Paese sia una profonda rivoluzione morale che ponga al centro il sacrificio personale e la trasparenza di quanti intendono dedicarsi alla cosa pubblica, non c’è pericolo di parlare, con questa "cassaforte" ideale alle spalle, con circoli, consessi o dirigenze della Casa della Libertà impegnati a costruire attraverso il passaggio di una federazione il futuro partito unico del Centro-Destra.
A condizione beninteso di non arretrare dalle nostre convinzioni a partire dalla legge elettorale che giudichiamo sbagliata così come riteniamo inaccettabile trasformare per forzature di sistema il bipolarismo in bipartismo perfetto.
In aggiunta pensiamo che il modello "partito" continuamente riproposto sia a sinistra che a destra costituisca un modello vecchio, appartenuto ad un passato remoto buono per il novecento ma non per il duemila. Le strutture "chiesa" o monarchie "incostituzionali" sono le meno adatte a far crescere il merito e la sana partecipazione alla politica. Per aggredire questa concezione e questi disegni interessanti occorre far affidamento questo si, dalla nostra parte, ad un movimento coriaceo fatto di uomini e donne che sappiano rischiare in prima persona, che sia lucido negli obbiettivi e duro nella sua azione: una forza anche piccola di difficile ingestione da parte di "amici" ed avversari.
Queste sono le coordinate che la Destra Liberale intende seguire e che ha dimostrato fino ad oggi, pur con tutti i limiti, di onorare.
Se le insorgenze liberali sparse per l’Italia si riconoscono in questi intenti e negli obiettivi che sintetizziamo ancora una volta nell’antico motto di "Patria e libertà", saremo, come sempre, pronti a creare condizioni comuni di attività e di presenza per dare risposta alle volontà espresse dalla moltitudine convenuta alla manifestazione romana che, al di là delle apparenze, non costituiscono un credito aperto e indefinito all’attuale organizzazione politica del Centro-Destra e alla sua leadership.
GABRIELE PAGLIUZZI

17 gennaio 2007

 

Continuano le adesioni dei piccoli Gruppi liberali di base. E i grandi?

Continuano le adesioni al Coordinamento nazionale dei Liberali Italiani da parte dei Gruppi liberali indipendenti. Ne siamo contentissimi. Dopo l'adesione di Galgano Palaferri, a nome della "Unione per le Libertà", di Torino, ha sottoscritto il Manifesto del 4 luglio, condizione per far parte del Coordinamento, anche il gruppo "Verbania Liberale" attraverso il suo segretario Stefano Gaggiotti. Per la verità, questo gruppo era in contatto con noi - attraverso l'amico Claudio Pietroni - già dalla fondazione nel giugno scorso, tanto che gli abbiamo inviato più volte i nostri messaggi e documenti. Lo ritenevamo già acquisito alla nostra area. Ora, però c'è stata l'adesione formale. Benissimo. E dovremmo essere ormai dieci Gruppi. Dieci piccoli gruppi, tutti indipendenti, tutti autenticamente liberali. Insomma, il primo cristallo da immettere nella soluzione per favorire la cristallizazione liberale è ormai consistente.
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Ma è solo un primo cristallo. Sbagliano i detrattori (gli amici liberali professionisti della politica), così come alcuni di noi così entusiasti da cadere in un equivoco pericoloso, a voler considerare questa avanguardia innovativa una entità politica numericamente valutabile con i criteri della politica elettorale a cui purtroppo siamo abituati.
Insomma, non solo la Unione delle libertà o Verbania Liberale, ma tutti noi, l'intero Coordinamento dei Liberali Italiani, che rappresentatività ha?
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E' l'obiezione che mi è stata fatta di recente dall'amico De Luca, di cui si può dire tutto il male possibile come carattere, inattivismo, pigrizia, eccessivo realismo o personalismo, ma non che non sia un vero liberale.
Già, quanto "valiamo" sulla bilancia della politica italiana, che pesa male i valori ideali?

E allora il discorso si allarga e diventa istruttivo, pedagogico, socratico, ma anche di grande buonsenso. Quel buonsenso così diffuso tra i liberali idealisti antichi (pensiamo solo ai grandi liberali anglosassoni e alla Destra storica italiana), e così assente tra i liberali "concreti" moderni. Curioso e paradossale, no? Come se l'eccesso di realismo e cinismo della politica, anziché riportare alla psicologia reale e alla vita concreta dei cittadini, come sarebbe istintivo pensare, isolasse i liberali in un iperuranio della politica come instrumentum regni e professione, ma lontanissima dalla vita vera. Come dire: erano più con i piedi per terra i grandi utopisti liberali del Settecento e dell'Ottocento, che i marpioni più o meno liberali del PLI di tangentopoli.
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"Sono con voi, prima o poi verrò nel Comitato se mi invitate, anzi facciamo pure assieme il grande Convegno sul Liberalismo che proponi [la mia solita proposta, per me unico modo per uscire bene sulla stampa e bucare l'opinione pubblica. NdR], ma, caro Nico, quanti, non diciamo elettori, ma quanti soci, rappresentano queste vostre sigle? Non vorrei che rappresentassero solo i loro leaders..."
Così parlò, non senza apparente buonsenso, Stefano De Luca al Consiglio Nazionale del PLI, pochi giorni prima di Natale 2006.
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Fuoco, fuochino, Segretario. Siccome De Luca di gruppi inesistenti e personalistici se ne intende, come tutti noi liberali del resto, una obiezione del genere fatta da lui vale il doppio.
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Ho risposto, lì per lì, che molte centinaia potrebbero essere i nostri militanti di base. E proiettabili su migliaia e
centinaia di migliaia di voti potenziali. Non ci credeva. Ha obiettato che una volta fu coinvolto in uno dei primi... "Stati generali" liberali (Vivona?), e vide che erano solo quattro gatti. Quell'esperienza deve averlo scioccato.
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Ma sono pochi oggi - ho controbattuto, sapendo di barare, perché le situazioni non sono paragonabili - perfino i militanti nei Ds, Fi, Margh., Rad ecc. Solo che loro sanno agitare le acque e conquistarsi le prime pagine dei giornali, perché "hanno credibilità presso i giornalisti politici". Credibilità che noi non abbiamo, proprio a causa dello scarso uso della psicologia politica, della comunicazione e dei giornalisti amici, dell'arretratezza del ceto liberale, tra i meno moderni e più anziani in Italia, e soprattutto a causa dei ricorrenti tentativi di "riunificazione" pro domo sua, o finti, o andati a vuoto. Dalle "Case del Cittadino" di Costa alla "Rifondazione" fittizia del PLI voluta dallo stesso De Luca nel 2005. E, anzi, più facciamo tentetivi di riunificazione, più ci allontaniamo dal grado minimo di credibilità presso le Redazioni ("al lupo, al lupo").
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Quindi attenti a cantare vittoria, amici del Coordinamento ("Siamo dieci!" esulta Lamedica), ma anche solo a lasciarsi scappare che stiamo unificando - niente di meno - i Liberali, una razza politica a parte, che tutti i giornalisti politici sanno quanto sia numerosa e dispersa, senza che lo neanche lo sappia... il grosso delle truppe.
Che attualmente - piaccia o no- sta ancora dentro FI, PRI, PLI, RAD, RL, e qualcuno dentro Margh. e ex-Ds.
E, a parte nomi di richiamo (che pure per la stampa sono determinanti) e prestigio, i numeri hanno una loro cogenza: senza i liberali di questi gruppi l'unificazione non ci sarà mai.
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Insomma, faccio dei nomi a caso, senza i Debenedetti, i Rossi, i Biondi, i Giavazzi, i Capezzone, i Della Vedova, i F. Orlando, i Costa e i Marzo, non esiste prospettiva del 35 per cento, che è la nostra visione apparentemente folle, in realtà sensatissima, a cui oggi finalmente cominciano ad avvicinarsi i sondaggi. Questa prospettiva è la sola - attenzione - che può fare da ipotesi di lavoro per un'iniziativa di successo, anche perché, si sa, si punta al 35 e poi si ottiene il 18 per cento, poniamo. Questo sarebbe il salto di qualità, l'unico vero "fatto nuovo" preso in considerazione dalla stampa e dall'opinione pubblica. L'uomo liberale che morde il cane.
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E' noto infatti agli psicologi della politica che ogni altra prospettiva minimalista (da 1-2-3 per cento) significherebbe la banale e perdente continuità col passato, non costituirebbe il Fatto Nuovo, non servirebbe ad attirare, a galvanizzare, né i liberali della classe politica, ormai abituati alla sconfitta (fu Antonio Martino a dire una volta, da siciliano superstizioso, che ormai gli pareva quasi che il "liberalismo portasse jella"), resi gattopardeschi e cinici dalla frequentazione del Potere, né il popolo liberale disperso in tutti i partiti. Popolo che si sposterebbe solo in vista d'un Grand Rassemblement, d'una Cosa Grandiosa, d'una Rivalsa Epica, storica, la cui novità sarebbe costituita proprio dall'inusitato obiettivo. Segno di condizioni politiche e sociali ormai mutate.
E oltretutto, si sa, se si punta al 3, si arriva allo 0,8.
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Ogni altro, abituale, progetto di piccolo calibro sarebbe destinato all'indifferenza, all'insuccesso. Sarebbe "deja vu", roba vecchia, la "solita sconfitta liberale". "Avete visto?" ci direbbero gli amici giornalisti. Come è sempre avvenuto in passato. Anzi, sarebbe il sasso in più che coprirebbe le nostre speranze, la prova provata - direbbero impietosi i giornalisti politici, anche quelli liberali (e non sono pochi) - che loro hanno sempre visto giusto, che cioè "i liberali italiani non sono seri", sono "dilettanteschi", "negati per la politica", che tutto quello che propongono in politica "non riesce", che "sono troppo individualisti" ecc.
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Ma né gli psicologi della comunicazione, né i giornalisti (anche quelli liberali), sono minimamente creduti dai politici liberali e dai tanti esponenti locali del popolo liberale, ognuno dei quali crede a torto di avere l'intelligenza politica di Cavour, ancora illusi che la politica sia il Caso, o meglio un'Arte fondata su Misteri eleusini dell'eloquenza avvocatesca, anziche un'attività che rispecchia le esigenze della gente comune e le leggi scientifiche della comunicazione. E per accertarsi sul grado di conservatorismo degli attuali sedicenti "liberali" italiani, basterebbe usare il "test di Porta Pia", cioè chiedere loro se nel settembre 1870, al posto del Presidente del Consiglio d'allora, avrebbero dato ordine alle truppe di sparare sulle mura del Papa. Nessuno di loro, ne siamo sicuri, lo avrebbe mai fatto.
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Il berretto frigio, passato dal mitraismo ai liberti affrancati dell'antica Roma, fino alla Rivoluzione francese e ai primi moti liberali in Italia, ha sempre rappresentato il senso della libertà

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