9 maggio 2012

 

Splendida la “novità” del liberalismo sociale. Ma la pratica coerente, e un soggetto liberale?

Il bellissimo dibattito degli studiosi Di Nuoscio e Ocone sul liberalismo di Einaudi (visto anche dalla parte di un crociano, come Ocone), a partire dall’articolo einaudiano “La bellezza della lotta”, va assolutamente seguito dai lettori nelle registrazioni video (riportate nel colonnino) e nel nostro lungo e particolareggiato commento-recensione sul Salon Voltaire, se vogliono capire il resto del discorso che si tiene qui. Il convegno, certo, ha svelato un Liberalismo inconsueto, a dar retta alla banale e riduttiva vulgata di molti sedicenti “liberali”. Senonché il diagramma del dibattito ha avuto un’improvvisa impennata che ha fatto balzare in alto anche il cardiogramma degli ascoltatori più attenti. E’ accaduto quando Ocone ha disquisito sul termine “verità”, usato da Einaudi in risposta al filosofo Rensi. “Verità” in casa liberale? Ohibò, ci siamo detti in molti. Ed era stato lo stesso padre Einaudi a scriverla. Ma poi si è capita la accezione laterale, contraddittoria e paradossale data da Einaudi al termine, per di più in risposta ad una “verità” filosofica sicuramente tirata in ballo dal Rensi.

La cosa non è passata inosservata neanche alle orecchie di Morelli che proprio su questo termine contraddittorio e difficilmente maneggevole per un liberale ha inviato sul punto una nota puntigliosa e secondo noi molto utile al dibattito liberale. Nell’ultima parte, poi, la nota abbandona il tema e si dedica al “che fare” hic et nunc. Morelli, come al solito, tira le orecchie alla cultura e ai politici liberali, capaci di pensiero, forse, ma incapaci di azione. I liberali, se e quando si ricordano di scendere dall’empireo della teoria, sono pregati per favore di ricercare in coerenza con le proprie dibattute asserzioni qualcosa che assomigli ad un soggetto pratico, politicamente spendibile. Altrimenti, pare voler dire, tutti i voli pindarici sono possibili e “resta in sospeso il reale problema politico italiano”, lamenta Morelli, che è il vuoto di presenza liberale nella realtà politica in Italia. La nota-commento è riportata qui di seguito, e non sotto l’articolo citato, perché più lunga di quanto consente Blogger (NV):

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“Non so se la cronaca del dibattito promosso dai Radicali sulla bellezza della lotta sia fedele all'originale (e neppure  se a breve troverò il tempo di riascoltarlo) ma quanto scrivi è di per sé chiaro, penetrante e davvero funzionale al diffondere le idee liberali per come sono. Sempre utile, oggi è urgente in Italia. E' auspicabile che tantissimi liberali si comportino con il tuo impegno e la tua passione nel far vivere l'approccio metodologico liberale.

Siccome, coerenti con il liberalismo, dobbiamo sempre esercitare il senso critico così da cercare di corrispondere al reale, in quanto scrivi trovo comunque un passaggio contraddittorio con il quadro complessivo (che ti propongo di superare), una osservazione corretta ma da precisare (per impedire interpretazioni fuorvianti) ed una conclusione che non si conclude.

Il passaggio contraddittorio è quello sullo "Stato liberale “senza idee proprie”, secondo una vulgata diffusissima ma erratissima – a nostro parere – perfino tra liberali, quasi che lo Stato liberale fosse solo un mero contenitore, un campo di calcio senza propri giocatori, e i liberali fossero solo degli arbitri, destinati a perdere in ogni caso la partita, quindi masochisti. Invece, ha specificato Ocone nel dibattito, una certa “verità”, cioè una sua propria ideologia condivisa la deve avere, eccome, uno Stato liberale. Pensiamo al Risorgimento, aggiungiamo noi. Se quella classe dirigente coraggiosa e perfino avventurosa non avesse avuto, almeno pro tempore, una sua “verità” condivisa, vera e propria “ideologia di gruppo” capace di motivare le coscienze, addio unità d’Italia".

Secondo me – e intendo riferirmi a quanto scrivi e non a quanto sostiene Ocone – la contraddizione nel contesto sorge dall'uso della parola verità. Non per caso tu la virgoletti per due volte, ma  non è sufficiente per evitare la contraddizione.

Il fatto è che la parola verità – nel dibattito politico sociale italiano –  come prima cosa è ampiamente compromessa dall'accezione in cui la usano i Papi (e già questo mi pare non trascurabile) e comunque avrebbe bisogno di una rilevante specifica per poter essere in qualche modo riferita al liberalismo. Senza questa specifica è incommensurabile con il liberalismo. La specifica è un aggettivo che ne definisca la natura, l'aggettivo provvisoria. Non a caso tu stesso senti il bisogno di annotare, quasi timidamente, "almeno pro tempore". Non ritengo basti perché si tratta di una differenza chiave.

Il liberalismo utilizza i fatti e il senso critico individuale per sforzarsi di capire il mondo che cambia attraverso lo sperimentare; i fautori dell'ideologismo, del conformismo di potere, del comunitarismo religioso o meno, soggiogano i fatti alla loro rispettiva verità per farla prevalere sul conflitto democratico dei cittadini. Quindi, per i liberali le idee e i progetti del momento sono necessariamente una verità provvisoria, per gli altri la verità sostenuta ha un carattere eterno e non sperimentale. La Tua notazione sul Risorgimento resta corretta proprio perché non tocca la provvisorietà bensì la capacità e la determinazione di essere liberali, cioè di comportarsi secondo quanto consiglia la necessità (liberale) di dare norme al convivere che migliorino la qualità della vita di ciascuno in quel momento (non è per caso che i cattolici chiusi si affannano ancor oggi a negare la storica arretratezza del nostro paese di allora specie nelle zone meridionali).

L'osservazione corretta da precisare deriva dalla considerazione di Di Nuoscio secondo cui il liberalismo di Einaudi sarebbe fondato su libertà, legalità e solidarietà, in modo tale che “se togli un piede non si regge”. Ciò, scrivi, "fa saltare la contrapposizione abissale, aprioristica, non solo tra liberalismo economico e socialismo, ma anche tra liberalismo economico e dottrina sociale cattolica".

Mi pare che l'intero ragionamento vada riletto, altrimenti si corre il rischio che "le tre gambe del trespolo" possa essere letto per far rientrare anche Einaudi nel clima della indistinzione culturale che ha segnato la nascita del PD. Figurarsi, uno che distingueva in modo definitivo anche tra liberali e liberisti. In Einaudi è chiaro che il pilastro è la libertà del cittadino fondata sui fatti. E' questo che non va tolto. Poi, perché ogni cittadino esprima la propria libertà sono indispensabili le regole e perché la libera convivenza sia più partecipata è anche necessaria la solidarietà.

Ma è solo la libertà che resta la stella polare. Non è un sofisma. Se si pensa di poter affiancare la legalità in via autonoma, allora prevale l'ossequio alla norma piuttosto che alla libertà, e si rende la norma un totem da adorare invece di un criterio per esercitare la reciproca libertà. Se si pensa di poter affiancare la solidarietà in via autonoma, allora prevale l'appartenenza al proprio gruppo invece che l'esercizio del senso critico per essere liberi e si rende la solidarietà un modo felpato di ostacolare la libertà con il collettivo.

Di conseguenza, tra liberalismo economico e socialismo da una parte e tra liberalismo economico e dottrina sociale cattolica dall'altra, Einaudi fa saltare le contrapposizioni aprioristiche ma irrobustisce le evidenti distinzioni. E conferma che sono possibili le collaborazioni ma non le confusioni. Il che significa che molto spesso i rispettivi progetti di analisi e di governo restano differenti. Talvolta dovranno integrarsi per dare l'indirizzo politico, altre volte saranno alternativi. Dipende dalla situazione storica del paese e dall'epoca.

“Mancano robusti comportamenti da liberali, non il declamare i principi. C'è bisogno politico dei liberali, non un bisogno culturale che, se resta tale, può poi essere stiracchiato per giustificare tutto e il contrario di tutto, nascondendo le politiche liberali invece di promuoverle.

Sotto questo aspetto, le tue parole conclusive [si riferisce all’ultimo capoverso dell’articolo citato, NdR] sono nella forma un grazioso gioco di concetti, ma nella sostanza (a parte che la vita reale è fatta anche di mediocri sportivi al bar) sono depistanti.

Vengono chiamati in causa due professori, diversi per età e per approccio scientifico, che appartengono ambedue al mondo laico ma che, anche supponendo volessero esserlo, non possono essere additati come portatori di comportamenti politici liberali o loro sostenitori, cioè autori del libro guida sui comportamenti liberali di oggi.

Esprimono l'idea che sia sufficiente esporre ragionamenti liberali per riuscire a promuovere comportamenti coerenti. Fanno il loro mestiere di studiosi.

Però il paese ha bisogno di una formazione politica liberale operativa. Non cambia le cose il fatto che la sua mancanza dipenda anche da un peccato originale nostro (i liberali non hanno ancora affrontato le questioni concettuali derivanti dall'introduzione del liberale suffragio universale un secolo fa).

Per tutto questo, nella Tua cronaca manca la valutazione critica conclusiva, quella che è indispensabile: lo sforzo di presentare una formazione liberale alle prossime politiche.

Contrasta con il pensiero liberale supporre che alle idee e ai progetti liberali la forza gliela possano dare non i cittadini scegliendoli bensì accordi di potere più o meno espliciti. I risultati sperimentali degli ultimi venti anni ce lo ricordano impietosamente.

Perciò vorrei darti questa spinta finale. Insieme ad amici di ogni dove (e ci siamo organizzati con strumenti modernissimi) da tempo puntiamo a questo obiettivo, senza escludere nessuno che condivida le idee e il progetto distillato in lunghe ed approfondite discussioni sulle cose da fare oggi per l'Italia.

Ma alla fine, salvo improbabili mutamenti legislativi, quella presentazione dei liberali dipende dalla capacità di raccogliere le firme da parte di tutti i liberali che si definiscano con questo nome senza ipocrisie e tatticismi.

Spero di contribuire a darti questa spinta. Considerate anche le opportunità che quotidianamente ci vengono fornite da una politica vuota di progetti e da un'antipolitica afflitta da analoga vuotezza.

RAFFAELLO MORELLI


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