18 dicembre 2006

 

Meglio tardi che mai: il Pli dice "Basta a questa Destra e a questa Sinistra"

Avendo partecipato al Consiglio Nazionale del Partito Liberale, la coscienza mi rimordeva. Sapevo di dover scrivere qualcosa, ma il lavoro che si è accumulato proprio in questi giorni non me lo permetteva. Perciò cercavo di giustificarmi pensando: "Ma, in fondo, quello che decide il PLI non è una notizia". Ora, però, per fortuna, con una email mi anticipa Beppi Lamedica, che a differenza di me prende giustamente tutto sul serio, e sul Consiglio Nazionale del PLI tenutosi a Roma il 15 e 16 dicembre ha trovato queste notizie sul sito internet del partito. Che riprendo con doppio piacere (NV):
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Il PLI ha concluso i lavori del suo consiglio nazionale con l’approvazione di un documento politico in cui si legge: "Il PLI intende partecipare a tale progetto (ossia la costituzione di una coalizione liberaldemocratica conseguente al superamento dell’alternativa CdL-Ulivo n.d.r.) col patrimonio della sua storia e del suo bagaglio morale, politico e programmatico, per conseguire finalmente l’obiettivo di una società che metta al centro la libertà, l’individuo, il merito, la competizione e che realizzi la non più rinviabile riforma dello Stato, senza la quale è impensabile il contenimento della elefantiaca spesa pubblica, la liberalizzazione dei servizi e la necessaria riduzione del carico fiscale."
Così precisa De Luca, in una lettera inviata alla stampa, per precisare la posizione del PLI nei confronti di recenti iniziative di Altissimo. L’obiettivo del PLI "non (è)un nuovo soggetto politico…, ma un processo voluto e guidato dal partito liberale di aggregazione ulteriore, resa finalmente possibile dalla concreta speranza di superamento del ‘bipolarismo all’italiana’".
Conseguentemente si smentisce recisamente quanto avanzato con il Comunicato politico del PLI del 27 09 2006. In quella circostanza il PLI si sarebbe impegnato "anche rinunciando a legittimi egoismi di parte, rendendosi disponibile alla costruzione di una nuova e grande forza politica che riassuma, in forma federata o unitaria, alcune delle esperienze maturate sia all’interno del sistema dei partiti che nelle realtà organizzate della società, sottoscrivendo tutti assieme un ‘manifesto costituente’ nel quale rivestano un ruolo centrale le aspirazioni maggiormente condivise da quella parte ‘liberale’ degli Italiani che oggi appare senza strumenti di lotta anche se rappresenta la maggioranza della componente attiva del Paese."
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Commento dell'amico Lamedica:
"Insomma il PLI vorrebbe egemonizzare l’area dei liberali. Ancora una volta scelte presuntuose rischiano di sottrarre energie umane allo sforzo di chi vorrebbe che i liberali stiano con i liberali (in una nuova e grande forza politica) per farli diventare protagonisti della lotta politica".

8 dicembre 2006

 

I liberali non parlano anche perché non hanno un "pulpito" da cui parlare

Sul quotidiano L'Europa del 7 dicembre, il giornalista Federico Orlando, vecchio liberale, partendo da alcuni problemi etici, economici e politici sollevati in Italia nelle ultime settimane, striglia con la spazzola di ferro i liberali italiani, rei di assenza totale dal dibattito, dal caso etico-giuridico della "morte dolce", auspicata come diritto di libertà individuale da Welby, fino alle lobbies dei notai o di altri professionisti che si oppongono alle liberalizzazioni. Nel mirino di Orlando sono tutti i liberali, sia che oggi militino per il Centro-sinistra, sia per il Centro-destra (lui in questo caso li chiama "conservatori liberali").
Ma, intanto, uno come lui, col suo passato, non dovrebbe essere più equanime, e anche più partecipe delle responsabilità dei liberali in Italia, anziché fingere di essere il marziano di Flaiano caduto all'improvviso sulla Terra?
Lo sappiamo, che chi ha memoria finisce per diventare antipatico. Conserviamo nella nostra fornita biblioteca le annate rilegate in tela verde ed etichetta di pelle marrone della Tribuna di Ferruccio Disnan, raffinata nella sua grafica alla Longanesi, che leggevamo da liberali adolescenti. Ebbene, per anni e anni, solo per limitarci a quel periodo, l'amico Orlando rappresentò l'archetipo del liberale ultra-moderato, se non "di Destra", come testimoniano i suoi accorati articoli sull'agricoltura del Mezzogiorno e la piccola proprietà. Poi, come accadde a molti altri liberal-conservatori, o piuttosto conservatori liberali, alla Montanelli, essendo quasi tutti noi liberali individualisti, spesso di "carattere" e quindi imprevedibili, divenne "di Sinistra". Sempre signorilmente, senza per questo, gli va riconosciuto, aver cambiato idee. Del resto questa è la prima comodità di noi liberali: il liberalismo è così articolato, complesso, tanto dipendente dalle Idee e dalle Regole, tanto al di sopra delle meschine lotte partitiche, che dicendo le medesime cose noi possiamo essere considerati sia "di Destra", sia "di Sinistra". Lo ripeteva anche Benedetto Croce.
Scusate la digressione da "saggio moralista", e torniamo alla strigliata di Orlando, sacrosanta. E’ vero, i liberali italiani – lo ripetiamo da sempre, e anche per questo abbiamo promosso questo Coordinamento – credono che basti una volta per tutte "definirsi" liberali senza fare nient’altro, come se fosse una mera professione di credo religioso, l’opzione una tantum d’una minoranza linguistica, che so, vallone o alto-atesina.
No, il liberalismo è una complessa dottrina, articolata in mille rami, che tutto pervade della vita del singolo e della società. Non c’è aspetto dell’etica e del diritto, dell’economia, della politica e perfino dei rapporti interpersonali su cui un liberale vero non abbia da metter bocca e da suggerire alternative.
Per questo, essendo vile e vergognoso il silensio, non può neanche limitarsi alle poche parole di circostanza, ma è naturalmente spinto ad "agire", a "fare", o per lo meno a "tentare di fare", a "proporre", per rendere sempre più liberale lo Stato, l'ordinamento, la società stessa (anche i cittadini, al loro interno, possono e debbono cambiare). Se no, se cioè il liberalismo fosse solo una mera dichiarazione di principio, non sarebbe così "vincente", davvero l’unica "ideologia" che ha resistito nella Storia e che – nazione dopo nazione, addirittura individuo dopo individuo – sta lentamente conquistando il Mondo.
Eppure, in Italia i liberali dormono. Il "digiuno per Welby" che gli commina Orlando sarebbe meritato quasi come una punizione, come contrappasso corporale per una intellighentzia non abituata a fare del proprio corpo un valore politico e neppure esistenziale. Giusto, per dei razionali come noi, no? Purché non sia la spia di un disinteresse per le cose pratiche, terrene.
Questo dello scarso realismo dei liberali italiani, contro le origini stesse del liberalismo, dottrina pragmatica legata alla realtà psico-somatica, alla terra, alle cose, ai cicli vitali del Mondo, e perciò verificabile, vincente, potrebbe essere in futuro un altro filone possibile di discussione. Ma ora è bene sottolineare la negatività e il pessimismo – antico in lui, per quanto si ricordi – di Orlando sulle prospettive di un partito liberale, definito addirittura "ancronistico". Ma questo c’entra in qualche modo con l’ipotesi di una riunificazione liberale? E’ in grado il raffinato e intelligente Orlando di distinguere tra una banale e obsoleta rifondazione d’un Partito Liberale e la ricostituzione dal basso, a partire dalla riunificazione di tutti i club e i partiti liberali, d’un "grande metapartito o lobby del 30 per cento" (permettetemi l’estemporanea invenzione terminologica)? Per ora, sembra di no. Segno che non abbiamo ancora cominciato a lavorare – con le nostre modestissime forze, e senza giornalisti importanti al seguito, questo è il punto – per diffondere all’opinione pubblica il nostro disegno.
E, a parte queste considerazioni sulla Casa unica liberale del futuro, si potrebbe obiettare all’inutilmente severo e rigoroso Orlando (oggi, troppo tardi: dov’eri, che dicevi, che facevi, negli anni 80 e 90?) che i liberali italiani – a parte la sindrome neghittosa e gattopardesca, a parte il cinismo individualistico e il pessimismo caratteriale di molti – forse non parlano anche perché non sanno da quale "pulpito" parlare, e non avendo una casa comune sanno bene che le voci individuali "uti singuli", le mere testimonianze umane (perché in fondo è questo che chiede Orlando), in politica contano poco più che zero.
A meno che, come fanno egregiamente i bravissimi fratelli Radicali, la testimonianza "umana" sia in realtà un modo più efficace e produttivo di fare azione e propaganda politica. Avendo, appunto, un soggetto politico di riferimento, sul quale far ricadere i vantaggi dell’operazione fintamente "individualistica", insomma il costruito "caso umano". Ma questa è tutt’altra cosa: sarebbe come paragonare il campanaro del villaggio di montagna a Guicciardini

 

La denuncia di Orlando: "Dai notai a Welby, i liberali italiani sono assenti"

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Che pensano i liberali di Welby?
di Federico Orlando, Europa, 7 dicembre 2006
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Leggevo sui giornali di martedì una sfilza di articoli su temi liberali, tipo il diritto di Welby di non soffrire la tortura in ossequio al dogma, il diritto alla privacy della studentessa che tenta il suicidio perché qualcuno ha mandato le sue foto "spinte" sui telefonini, il rischio che le liberalizzazioni di Bersani sui notai vengano annullate dalla corporazione, la banda Guzzanti-Scaramella che usava in parlamento mezzi istituzionali per macchinazioni contro politici di centrosinistra, e via a non finire.
Cercavo, fra le righe degli articoli, il nome di qualche liberale del centrosinistra, o di qualche conservatore liberale di centrodestra, che vibrasse di sdegno per le cose che leggevo o per altre che denunciano quanto stia finendo male la civiltà liberale. E invece trovo sull’Unità il nome di Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Biase, che insorge con un’ampia intervista affinché sia "rispettata la coscienza individuale, anche di Welby". Trovo sul Corriere della Sera, la Repubblica, il Riformista e altri fogli grandi e piccoli che la ministra Bonino ha iniziato lo sciopero della fame a favore dell’eutanasia per Welby, che il ministro Mussi si schiera contro il "mantenimento in vita del dolore", che la ministra Turco istituisce una Commissione sulla fine della vita (che però non si occuperà di Welby). Insomma, chi con decisioni, chi con circonlocuzioni, chi istituendo ma escludendo e comunque richiamando, sono molti a esprimere esigenze liberali, di fronte a una legislazione da vecchio mondo, fatta per favorire dogmi, ricatti, spionaggi, privilegi. Tutte le cose che il liberalismo dovrebbe avere come sue nemiche naturali.
E invece niente. I nomi dei liberali figurano solo in calce a lettere che si scambiano fra loro i presidenti, i direttori, i segretari di niente, fra le sigle nazionali e quelle raccolte nell’Internazionale liberale, per denunciare reciproche inadempienze o rivendicare primogeniture e rappresentanze fantasiose del nulla.
Nel mondo ci sono 60 partiti liberali, attivi al governo o all’opposizione. In Italia ci sono altrettanti fantasmi.
Perché non chiudere, se non si riesce a creare non un partito, che sarebbe antistorico in tempi di bipartitismi o bipolarismi, ma almeno una fondazione comune per esprimere posizioni su casi come quelli ricordati all’inizio; e così far sentire le ragioni della cultura liberale. Che darebbe forza a chi vuol migliorare la qualità della vita.
Perciò facciamo una proposta ai liberali, a cominciare da Zanone (cui farebbe anche bene) e dagli altri parlamentari riammessi come gruppo nell’Internazionale: si uniscano anche loro ai 700 intellettuali, politici, gente comune (e perfino un ministro, come dicevamo) che da 14 giorni si alternano nello sciopero della fame per consentire l’eutanasia o il non accanimento terapeutico o come cavolo la si voglia chiamare, a Piergiorgio Welby. Il presidente della repubblica Napolitano ha concesso la grazia a un padre che uccise il figlio autistico dopo trent’anni di sofferenze; il filosofo Severino, contraddicendo i sepolcri imbiancati di Avvenire, ricorda che la democrazia parte anche dal singolo e dai suoi casi; il Foglio, che tra i teocon è il più intelligente, propone una via d’uscita con un’arzigogolata masturbazione tra pietà e compassione: e lo fa perché vede montare contro i torturatori la rabbia di una folla sempre più numerosa. Come quella che in questi giorni ci descrive il film Maria Antonietta.
FEDERICO ORLANDO
Foto: Quintino Sella

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