25 marzo 2008

 

Il paradosso di Bouvard e Pecuchet. Liberali più stupidi o anti-liberali più furbi?

Una "ideologia" vince su tutte le altre perché queste ad una ad una si dimostrano disastrose. E’ nobile perché garantisce in teoria le libertà a tutti, anche quelle nuove, ma senza indagare troppo, senza chiedere nulla in cambio, se non un piccolo limite all’ampiezza dei diritti di ciascuno.
Se qualcuno la mettesse in pratica, certo.

Di sicuro, non fa nulla per vincere, ma vi è costretta dai propri stessi avversari, che dichiarano fallimento. Perciò stravince, sempre a parole, fino a diventare senso comune, pura dichiarazione d’intenti, mera oratoria, ovvietà, tautologia. Insomma, finisce per banalizzarsi e annullarsi. Todos caballeros!

E accade l’irreparabile. Ad esserne attratti sono soprattutto quelli che la percepiscono, appunto, come mera normalità, nuovo conformismo, pensiero unico doveroso, il vero "politicamente corretto". Per lo più i mediocri – è comprensibile – gli uomini senza idee e personalità. Per tacere degli opportunisti che prima le erano nemici. Entrambi naturalmente attratti da una comoda dottrina che pur vincendo – a parole – non chiede atti eroici, ma neanche dimostrazioni di fedeltà o di coerenza. Se no, che libertà, che nobiltà sarebbe?

Che bello il pensiero libero, è il nuovo pensiero di tutti, cioè di nessuno: l’ideale – pensateci bene – per chi non ha pensiero.
Già, perché il liberalismo – è di questo che stiamo parlando – pur continuando la sua marcia trionfale nell’ecatombe dei suoi avversari, è oggi così ben rappresentato nei libri e così mal rappresentato dagli uomini in carne ed ossa, e dai programmi reali?

Il paradosso di Bouvard e Pecuchet, due celebri personaggi di Flaubert detentori del "senso comune", problematici ma ottusi, può essere definito per stringente analogia "il paradosso del liberale". Siamo ormai alla cultura dell’ovvio. Tanto scontato che non viene praticato, dalla persecuzione dei Tibetani al monopolio Rai-tv, dal fallimento dell’Alitalia alla ricerca sulle staminali.

Todos liberales? Nessun liberale. Più furbi e perfidi gli anti-liberali, o più stupidi i liberali? Il Centro-destra e il Centro-sinistra, dopo il colloquio privato tra Veltroni e Berlusconi, hanno eliminato stalinianamente dalle proprie liste tutti i liberali con un minimo di personalità, o che comunque avrebbero potuto dar fastidio, magari facendo notare alla prima occasione il carattere populistico, statalista e antiliberale delle due ammucchiate di yesmen, i "signor sì", gli impiegati della politica pagati migliaia di euro ogni volta che pigiano i pulsanti sugli scranni del Parlamento secondo gli ordini ricevuti. Un lavoro manuale, e a tempo determinato, e infatti il livello intellettuale dei deputati-impiegati co-co-co è adeguato ai loro compiti esecutivi. Solo lo stipendio e i privilegi sono straordinari. Si vede che le porcherie che sono chiamati a ratificare sono straordinarie.

Del resto, la collocazione internazionale parla chiaro. Né il PdL, né il PD, che pure si riempiono la bocca di libertà e liberalismo, hanno chiesto di far parte del gruppo Liberale al Parlamento Europeo.
E i liberali? Quali liberali? Ormai sono già spariti, cacciati o autoesclusi per inadeguatezza dalle liste, e anche dalla vita politica. Da bravi Bouvard e Pecuchet, o piuttosto Don Abbondio, hanno diviso il capello in quattro pur di non unirsi tra loro, nonostante i precisi appelli del nostro Comitato per l’unificazione dei Liberali Italiani, da loro stupidamente ritenuto "una cosa troppo piccola", "poco rappresentativa", mentre gli sfuggiva che era proprio una sigla da riempire con la loro "grande" e "rappresentativa" presenza. Era solo un lavoro gratis per loro, insomma, ma l’ottusità, la totale incomprensione della psicologia e della scienza della comunicazione, è la nuova malattia dei liberali italiani.

Loro, i "liberali" a belle parole, e solo tra pochi amici, la politica non l’hanno mai capita, e il liberalismo l’hanno sempre visto non come difficile atto di coraggio ma banale senso comune, furbo alibi, non-scelta che consente tutte le scelte possibili. Hanno detto tutto e il contrario di tutto, sempre ovviamente con quell’aria signorile e da "persone per bene" banali e risapute così tipica dell’assoluta normalità piccolo-borghese perfino quando sono ricchi o aristocratici.

Basti pensare che due sortite memorabili del prof. Martino, economista liberale così siciliano superstizioso da aver detto una volta che "il liberalismo porta sfortuna", sono state l’opposizione al divieto di fumo nei locali pubblici e il dirottamento dei soldati italiani dal Libano all’Iraq. Dell’attività politica di Sterpa non si ricorda nulla, mentre dell'imprevedibile battutista Biondi, a parte una buona presidenza della Camera (appunto, il solito equivoco della neutralità, tendente alla nullità semantica liberale), viene in mente che ha firmato perché l’esibizionista Ferrara potesse presentare la lista "Aborto? No grazie" senza raccogliere firme. L'ultra-pessimista Zanone, che non si capisce perché si sia dedicato alla politica anziché alla biblioteca, dove invece eccelle, dopo varie legislature smorte, non è stato ripresentato. Di La Malfa e Nucara non si hanno notizie: al sicuro nella CdL, perciò non si espongono. Il bravissimo ma troppo prudente Capezzone non è stato candidato, ed è sparito dentro l’agenzia "Il Velino", e per quanto di lui si parli come esponente del prossimo Governo, se sarà di Centro-destra, l'afasia improvvisa non piace ai suoi sostenitori. Forse ha capito che in un Governo neo-statalista e anti-mercatista sarà un ostaggio impotente? L’algido e professorale Della Vedova, un vero liberale che con Capezzone convinse molti di noi a riavvicinarsi al PR, per quanto gli intervistatori di Radio Radicale ce la mettano tutta per iniettargli peperoncino nelle vene, sembra un docente di economia indifferente alla lotta politica e incapace di parlare agli elettori. Meno male che ha il seggio blindato. Anche lui, che potrà fare in un Governo di Centro-destra anti-liberale?

Non hanno forse tutti costoro sbagliato collocazione? Non facevano meglio a unirsi tra loro e capitanare con un grande "Manifesto agli Italiani", senza sigle politiche, un movimento liberale autonomo, che poteva aspirare in prospettiva al famoso 30 per cento demoscopico? Macché, da liberali, gli è mancato il coraggio, e da machiavellici hanno preferito il seggio sicuro alla coerenza delle idee. Idee, che a quanto pare sembrano l'ultima cosa importante nella politica italiana. Di qui il distacco insanabile tra i liberali ideali di base e i loro politici.

Naturalmente ci sono anche delle sorprese positive. Se nessuno dei liberali togati parla più di laicità dello Stato, tocca farlo agli irregolari, come Grillini, sempre più cavourriano (complimenti), che si presenta a Roma contro il neo-clericale Rutelli con una lista che ha come slogan la bella parola "Laicità", e come il combattivo Staderini, dei Radicali Romani, detto "er Nathan der I Municipio" per concretezza e tenacia riformatrice.
Invece, a Milano la Destra Liberale di Pagliuzzi si scinde ancora di più e perde il giovane e attivo Caputi. Intanto il lentissimo De Luca, segretario del piccolo Pli, resta fermo per mesi a rimuginare coi suoi intimi il giusto "né, né", dichiarando finalmente il carattere illiberale dei due Poli. Ma poi si perde proprio sulla politica. Anziché fare un proclama al Paese per unire in una nuova lista tutti i liberali, traccheggia nell'ingenua speranza di essere scelto chissà da chi. E sceglie in extremis, quando ormai è troppo tardi, di presentarsi da solo. Non lo sa nessuno: a che serve? Una scelta politicamente davvero poco intelligente.

Perché continuare masochisticamente a raschiare il fondo della botte sbagliata, e a diffondere presso il pubblico lo stereotipo "Liberali=perdenti", quando invece i liberali italiani – lo provano tutte le indagini demoscopiche – sono oltre il 30 per cento? Che cos’è questo disfattismo, questo pessimismo largamente presente tra i dirigenti e perfino nella base dei vecchi liberali, una scusa pietosa per la propria incapacità? La paura, anzi la certezza, che un forte soggetto liberale da 30 per cento – e quest’anno i numeri sociologici c’erano, semmai non c’erano le intelligenze liberali dentro e fuori il Parlamento, non c’erano i coraggiosi, non c’erano i carismatici – verrebbe ovviamente gestito da qualcun altro più intelligente di loro?

Se l'intelligenza è pervasiva e globale, come insegna la psicologia del comportamento, se in conseguenza nella politica si rivela soprattutto nelle cose ritenute marginali dai politici (fantasia, coraggio, slogans, linguaggio, comunicazione, propaganda, comprensione della realtà sociale, simboli grafici, tempi, iniziative ecc), in realtà fondamentali, se insomma "il personale è politico", come dicevano le femministe negli anni 70, allora per i liberali sono dolori. Si salvano solo Capezzone e Radicali, nonostante qualche errore comunicativo di Pannella.

Ma il secondo paradosso è che i tanti cittadini italiani liberali di idee secondo le indagini demoscopiche non si interessano di politica. Per loro è solo cultura, una sorta di etica nostalgica e perbenista, quando non si tratta di "consigli ai Governanti", addirittura cicaleccio da bar o lamentela qualunquistica da salotto. E perciò, al contrario di quanto prescrive il liberalismo, non c'è ricambio e selezione del merito in casa liberale. Al Centro-Nord la borghesia considera la politica un'attività da veri fannulloni. Non si lamenti, dunque.

Così, rispetto alla mediocrità dei pochi dilettanti Pecuchet-Don Abbondio incapaci di vedere il nuovo, di osare, e in realtà solo attempati nostalgici dei tempi di Malagodi e La Malfa, la coorte di avvocati, consulenti, ragionieri, pensionati e professionisti di provincia, per lo più del Sud, che frequentano congressi e sedi di partito, hanno facilmente la meglio gli uomini "di potere", i dirigenti autonominatisi tali perché sono un po' meno provinciali e hanno più pratica del Parlamento, che ritengono il solo luogo che conta (e infatti tutte le operazioni possibili le tentano lì, non nella società, tra la gente, come si fa nei Paesi liberali).

Ma soprattutto perché "cummannari è megghiu ca fottiri" (proverbio siciliano). Ed è tanto vero che i primi cinque dirigenti di Pri e Pli - guarda caso - sono di origine siciliana: La Malfa, Nucara, De Luca, Grillo, Carla Martino. Tutte degnissime e bravissime persone, veri liberali che onoriamo sinceramente, e senza di loro il panorama liberale in Italia sarebbe più desolato, perché non c'è chi potrebbe sostituirli. Però è abbastanza strano, ammettiamolo, che la geografia, la sociologia e la psicologia dei liberali italiani siano cambiate a tal punto.


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