11 aprile 2012

 

Partito liberale. Meglio “dire” tutto il Liberalismo che “fare” solo la Destra liberale

Perché la Destra liberista o “liberal-conservatrice” (che oltretutto è una contraddizione in termini) con la scusa che “non fa nulla” ed è in mano ad un “Padre padrone”, ci tiene tanto a impossessarsi del piccolissimo, quasi inesistente, Partito Liberale? Gatta ci cova!

E’ proprio questa inadeguatezza dei mezzi ai fini (un bilancio di previsione con utili pari a zero), questa “diseconomia”, questa illogicità, che ha insospettito e allarmato. Che cosa avrebbe voluto fare la Destra con l’inutile giocattolo, anche se fosse stato affidato alle mani più attive e giovanili del mondo? I sospetti al riguardo, visti gli accaparramenti di sigle e partiti, anche nobili, cui abbiamo assistito nella deprecata èra berlusconiana (pensiamo al partito cugino PRI) sono legittimi. Eppure così è stato. La Destra ha provato a lanciare l’Opa nel Congresso del 2009, e ha riprovato in quello del 2012, tenutosi dal 23 al 25 marzo. Per alcuni, evidentemente, repetita non juvant. E per fortuna anche l’ultimo tentativo è stato rintuzzato, sia pure per una decina di voti. Segno che i sedicenti più “giovani” e “attivi” (visto che un po’ di trucchi li hanno fatti entrambe le parti, come da tradizione) erano in realtà meno giovanilmente attivi dei vecchi liberali del PLI.

Ma com’è possibile che persone intelligenti, economisti e politici esperti, come quelli della Destra liberista, non sappiano che oggi, rebus sic stantibus, un “partito” liberale (così definito) sia una merce invendibile, non commerciabile, e che perfino definizioni più moderne (per es. il nostro “Liberali Italiani”, inventato nel 2006 come coordinamento e come blog) per affermarsi e vincere abbisognano di vari lustri di vera e propria rieducazione popolare e di una totale ri-divisione del mondo politico secondo aree ideologiche (per es.: Conservatori, Liberali, Socialisti)?  Solo a queste condizioni teoriche possono ritornare vincenti i “liberali” in quanto tali.

In mancanza delle quali al PLI spetta di esistere solo come mera icona, nobile quanto si vuole, ma pura testimonianza statica del Liberalismo. Insomma, un dignitoso simbolo d’altri tempi. Proprio ora che il Liberalismo si conferma l’unica ideologia che ha vinto nel Mondo, e tutti si dicono “liberali”!

E’ noto il crudele paradosso per cui un partito liberale non ha più senso quando lo Stato è diventato liberale. Ma in Italia la rivoluzione liberale è davvero incompiuta e spesso imposta più dall’Europa, dai mercati e dai giudici, che davvero sentita dalla popolazione, per secoli maleducata da dittature, clericalismo, fascismo e comunismo.

E quindi è vero che un partito liberale avrebbe ancora ragione di esistere, proprio in Italia, perché avrebbe il compito anche di “educare” laicamente gli Italiani. E, anzi, a saperci fare, sarebbe il primo partito non l’ultimo, se solo si riorganizzasse la tavolozza della politica italiana non attorno ai personaggi senza idee e perciò capaci di tutto, ma solo in base alle idee: liberali, conservatori, socialisti. In questa tripartizione è facile ipotizzare che i liberali avrebbero la maggioranza.

Così, il piccolissimo PLI continua ad esistere, più sulla carta che nella vita intellettuale e politica del Paese, soltanto grazie alla personale testardaggine – possiamo testimoniarlo – di Stefano De Luca, ex deputato e avvocato di Palermo, che otto anni fa, contro tutti, decise di farlo rinascere, perché – ci confidò (quando noi ritrovati liberali sotto le insegne del PLI eravamo appena una decina a Roma) – sentiva quasi il rimorso di aver contribuito a scioglierlo nei primi anni 90.

E allora perché nel precedente Congresso del 2009, col tentativo di scalata dei berluskones delusi Diaconale e Taradash, ed anche oggi, con l’Opa dei berluskones delusi Musso, Altissimo e Bastianini, la Destra liberista ha provato invano ad occupare con un colpo di mano, facendo calare dall’alto – entrambe le volte, ormai la regìa è nota – alcune decine di giovani mai visti prima con l’intento di vincere ai punti su una platea data per vecchia, stantia e poco reattiva?

E’ un mistero, fino ad un certo punto. Una testata dignitosa come quella del PLI può sempre essere usata o come comodo refugium peccatorum di trombati elettorali in attesa di riciclaggio, o come merce di scambio con uno qualsiasi dei partiti di potere del Centro-Destra. Senza dire poi che può sempre essere riempita di tanti giovani e giovinastri della Destra, gente “nuova” e “attiva” per autodefinizione. A proposito, il mito anti-liberale del giovanilismo è emerso anche in questo Congresso, sembrando quasi che un qualsiasi giovinastro ignorante ma con tanta voglia di “fare” (che cosa?) valga di più d’un vecchio liberale Doc stanco e incapace di fare.

Così, nell’impossibilità di “fare” alcunché politicamente, visto – come dico nei miei due brevi interventi – che oggi una lista che si chiami “partito” non sarebbe votata, tantomeno una “liberale”, aggettivo che gli Italiani non sanno neanche che cosa voglia dire, un Partito Liberale Italiano deve purtroppo limitarsi al “dire”, al “rappresentare” degnamente una ideologia: il Liberalismo.

E in questo, paradossalmente, le truppe d’assalto, i lanciatori di Opa, i nuovisti o giovanilisti che hanno tentato la scalata, sono apparsi molto meno liberali dei vecchi, compreso il segretario De Luca, che almeno, pur nel suo non-fare e nelle sue chiusure e asperità caratteriali, possiede una enorme e difficilmente eguagliabile in bilanciamento cultura liberale, offre un’immagine completa e non banalmente di Destra del Liberalismo italiano. Insomma, la Destra solo liberista, ancorché più giovane, non avrebbe dato una bella immagine del Liberalismo italiano, e sarebbe stata fagocitata in un sol boccone dal Maelstrom del post-berlusconismo senza idee in sfacelo.

Perciò ci è toccato, paradossalmente, difendere la icona culturale, per quanto inattiva, piuttosto che le velleità di “fare” (e perciò pericolose) da parte di chi offriva un ritratto poco veritiero perché troppo banale e parziale del Liberalismo: il mero liberismo economico, senza laicismo, senza cultura, senza la famosa solidarietà liberale, senza misurarsi con la società e i mille problemi della società moderna. Insomma, il solito stantio e perdente Liberismo e Liberalismo di Destra. E grazie tante: anche i conservatori sono liberisti, non ci sarebbe bisogno dei liberali!

Ma il PLI non può diventare un partito conservatore. Perfino nell’èra Malagodi evitò il conservatorismo, sia pure per un pelo, quando ormai noi giovani avevamo perso ogni speranza, grazie all’impennata orgogliosa del divorzio e del laicismo ritrovato fuori tempo massimo. Né può diventare un doppione delle tecnocrazie accademiche, del pur utile e intelligentissimo Istituto Bruno Leoni, o della Luiss, che è l’università della Confindustria.

E che facciamo, il “partito degli economisti” o “degli ingegneri” grazie al sillogismo sempliciotto che siccome l’economia occidentale che si studia all’Università è fondata sul libero mercato, tutti i professori di economia, sarebbero ipso facto dei liberali Doc? Ma per piacere! Anzi, sarebbe quasi un raffinato conflitto di interessi intellettuale. Il Liberalismo verrebbe “tecnicizzato”, ridotto alla banale materia insegnata all’università: all’economia di mercato. Quindi, seppure, il solo liberismo. E no. Croce ha tenuto a dirci che una cosa è l’accademia, un’altra la politica, una cosa il politologo che studia il Liberalismo, altra cosa il politico liberale. E lo stesso, per analogia, può essere riferito agli economisti o industriali, molto ben rappresentati in questa Destra liberale che vorrebbe impossessarsi del PLI.

Perché, inutile nasconderselo, si sa dove andremmo a finire in tal caso: ad una perdita secca di idealità, di ampiezza di vedute, di generalità degli interessi, di rappresentatività dell’intero sfaccettato Liberalismo, e in fin dei conti anche di moralità, per diventare banalmente una sorta di “Partito dei Lavori”, patrocinatore di inutili Grandi Opere – queste sì, keynesiane fuori tempo massimo – buone soltanto per devastare il territorio. E chiunque vi si opponesse sarebbe tacciato addirittura di essere anti-liberista, ergo anti-liberale. Il giochino (che fanno altrove, ma potrebbe – chi lo sa? – riproporsi anche in casa liberale) lo conosciamo bene: “Fateci costruire, fateci lavorare, fateci cementificare la Natura (anche se non c’è domanda di mercato, anche in regime di monopolio): se no, siete comunisti”. E già, perché questo sarebbe il rischio – per ora solo teorico, certo – del lasciar “fare” la gente sbrigativa e affarista che nei siti web, con la scusa del “giovanilismo” e dell’efficientismo, inneggia alla Thatcher e a Reagan, imitando sempre i Repubblicani americani (ora anche il Tea Party), mai i Democratici. In altre parole, berlusconiani ultrà senza Berlusconi.

Insomma, è bene vigilare e cautelarsi, perché alle volte “a pensar male s’indovina”. La funzione critica, tipica del liberale, deve essere sempre in grado di disegnare ogni scenario, non solo probabile, ma anche possibile.

Ecco perché, ritornando al piccolo PLI, paradossalmente, “dire” soltanto il Liberalismo, almeno descriverlo in modo pluralista e completo, visto che proprio non si riesce a propagandarlo, è mille volte meglio del “fare” a tutti i costi e male. Il berlusconismo ce lo ha mostrato chiaramente.

Primo e secondo intervento di Nico Valerio al Congresso PLI, Roma, 24-25 marzo 2012 (8’32” e 6’16”), registrati grazie a Radio Radicale: v. colonnino a sinistra.


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