27 ottobre 2013

 

No alla presentazione in più collegi, sì ai voti di preferenza, no al presidenzialismo nascosto.

«Una legge elettorale che già alla chiusura dei seggi indichi a tutti chiaramente quale sarà il Governo». Detta così, sembrerebbe un obiettivo di buonsenso, condivisibile da tutti. Una cosa chiara, innanzitutto, perché questo “pensiero” di Renzi è tra le poche cose esplicitate senza ambiguità del suo vuoto e facile eloquio da “venditore porta a porta”, fatto di battute, accattivanti sorrisetti e giochi di parole.

Ma così non è. In realtà, fa notare Ghersi, si metterebbe ancor più nell’angolo il Parlamento, e con esso la volontà popolare. E il progetto sembra più pericoloso in quanto oggi condiviso anche da molti altri a Destra e Sinistra, tra politici, commentatori e giornalisti (infatti, sbaglia anche il “liberale” Panebianco). La conseguenza certa sarebbe un Parlamento umiliato, dove più nessun parlamentare oserebbe, vorrebbe o potrebbe votare in dissenso dal proprio Partito, cosa inconcepibile per uno Stato Liberale.

Altro che semplice bipolarismo, che pure tanti mali ha fatto e sta facendo, poiché diseduca ancor più gli Italiani, già diseducati al ragionamento, alla logica e alla Politica, in eterni tifosi-bambini d’una squadra di football! Qui si vuole andare oltre, verso un sistema elettorale che per funzionare avrebbe bisogno addirittura di un’Italia “presidenziale”, monocratica e super-decisionista, ancor meno liberale e ancor più populistica di quella attuale, per la quale occorrerebbe uno stravolgimento della I Parte della Costituzione.

Una cosa grave, mai fatta da nessun legislatore. Tra l’altro, sarebbe un obiettivo che non si realizza neanche in Germania, in Gran Bretagna o in Francia, i nostri possibili “modelli”, e che sarebbe davvero un brutto segno se si realizzasse solo in Italia. Guarda caso, dopo il ventennio populista berlusconiano. Siamo d’accordo, perciò, con l’articolo di Ghersi: la democrazia autenticamente liberale non può prescindere dal Parlamento e da sistemi di rappresentanza sufficientemente proporzionali. E riteniamo i progetti presidenzialisti o cripto-presidenzialisti addirittura pericolosi per la democrazia liberale in Italia. E siamo d’accordo anche sui rimedi all’attuale legge elettorale, come l’elezione in base solo alle preferenze ottenute e il divieto di candidarsi in più di tre circoscrizioni o in più collegi.
NICO VALERIO

 

Se chiedeste ad un liberale genuino di addurre un esempio recente di funzionamento liberale delle Istituzioni rappresentative, è probabile che vi parlerebbe del Regno Unito. Il 29 agosto 2013 il Primo Ministro David Cameron sostenne in Parlamento le ragioni di un intervento armato in Siria, al fianco degli Stati Uniti, ma la mozione parlamentare che si riconosceva nel punto di vista espresso dal Primo Ministro fu respinta con il voto di 285 deputati contro 272.

Si trattò di un voto con effetti di grande rilevanza: Cameron si sottomise, come era ovvio, al pronunciamento del Parlamento; il Presidente degli Stati Uniti, Obama, privato dell'appoggio del più naturale alleato, dovette, a sua volta, chiedere il pronunciamento del Congresso degli Stati Uniti; alla fine l'intervento armato in Siria fu bloccato, almeno temporaneamente.

Trenta parlamentari conservatori e nove parlamentari liberal-democratici, tutti in teoria facenti parte della maggioranza che esprime Cameron, in quell'occasione votarono in modo difforme rispetto ai partiti di appartenenza. Per un liberale genuino, quei trentanove "ribelli", a prescindere dalle loro caratteristiche soggettive, hanno appunto incarnato l'essenza di ciò che è, di ciò che deve essere, un libero Parlamento. Di fonte ad una questione fondamentale, come è quella di decidere se entrare o meno in guerra, si decide secondo coscienza. Non ci sono governi, o maggioranze, che tengano. Poi la successiva "carriera" politica può pure andare a ramengo; ma qui ed ora si vota secondo la scelta che si ritiene migliore nell'interesse del Paese che si sta servendo a livello istituzionale.

Perché ci sia un libero Parlamento, quindi perché le esigenze della libertà, nei momenti cruciali, possano prevalere nelle decisioni delle Istituzioni rappresentative, deve sussistere una condizione necessaria: i parlamentari devono essere effettivamente "rappresentanti" delle comunità locali che li esprimono. Per dirla con parole diverse, devono essere liberamente eletti e sapere di dover la propria elezione ad elettori in carne ed ossa, con bisogni ed aspettative reali, che possono variare da una zona geografica ad un'altra.

Rispetto alla sciagurata legge elettorale di cui oggi disponiamo in Italia – legge, si ricordi, approvata mentre governava Berlusconi e modellata dal sedicente esperto Calderoli – il primo scandalo da rimuovere dovrebbe essere quello di impedire che, in futuro, i deputati ed i senatori continuino ad essere, non eletti, ma "nominati" dai vertici dei partiti. Questo è il vero scandalo contro la democrazia rappresentativa e contro il liberalismo (quello vero); è esattamente per questa ragione che l'Italia deve vergognarsi della legge 21 dicembre 2005, n. 270.

I rimedi sono facili e perfettamente noti agli autentici esperti di legislazione elettorale: nessuno può candidarsi in più di tre circoscrizioni, pena la nullità dell'elezione. Oppure, nel caso si passi dal sistema delle liste circoscrizionali a quello dei collegi uninominali: nessuno può candidarsi in più di un collegio, pena la nullità dell'elezione.

Dopodiché l'elezione deve collegarsi ad un consenso effettivamente manifestato dal Corpo elettorale nei confronti del singolo candidato proclamato eletto. Ciò significa che, se restano le liste circoscrizionali, i candidati devono essere eletti in base ai voti di preferenza ottenuti e non secondo l'ordine di presentazione nella lista. Quindi, bisogna introdurre la possibilità di esprimere preferenze. Se si passa ai collegi uninominali, poiché in ogni collegio viene eletto un solo candidato, quello più votato, si presume che il Corpo elettorale scelga la persona che appare idonea a rappresentare al meglio la comunità locale, non un deficiente che ha lo stesso ruolo del cavallo nominato senatore da Caligola.

Il fatto è che le esigenze della democrazia rappresentativa e del liberalismo (quello vero) oggi si sono smarrite. L'aspirante leader del Partito Democratico, Matteo Renzi, dispensa perle di saggezza: «Sento una gran voglia di proporzionale nei partiti, ma noi quella voglia gliela facciamo passare». Si noti bene che qui il bersaglio polemico non è la legge elettorale vigente, ma una sua eventuale modifica che, rendendo eventuale l'attribuzione del premio di maggioranza, finisse per determinare una rappresentanza espressa soltanto con il criterio proporzionale (ossia, traduciamo per gli sprovveduti, in misura esattamente corrispondente ai voti ottenuti da ciascun partito in ambito nazionale).

Cosa significa auspicare una legge elettorale che, a poche ore di distanza dalla chiusura dei seggi, consenta di conoscere chi ha vinto e chi ha perso? Prendiamo i tre più noti sistemi elettorali europei: quello inglese, quello tedesco, quello francese. Molto diversi fra loro; ma in una cosa coincidenti: nessuno è capace di realizzare quanto richiesto dal Renzi-pensiero. In Germania, col sistema proporzionale corretto da una soglia di sbarramento, occorrerà arrivare ad una coalizione fra le forze politiche che hanno ottenuto maggiore consenso (CDU e CSU in Baviera) ed un partito d'opposizione (nella circostanza, il SPD, ossia i socialdemocratici). Nel Regno Unito, dove c'è il sistema maggioritario puro con i collegi uninominali, si è dovuta fare una coalizione fra il partito di maggioranza relativa (i conservatori) ed il partito dei liberal-democratici. Il sistema francese, semipresidenziale sul piano costituzionale e con una legge elettorale a doppio turno di collegio, al momento vede una maggioranza parlamentare dello stesso indirizzo politico del Presidente della Repubblica, ma è possibile che, durante il medesimo mandato presidenziale, si arrivi ad una coabitazione con una maggioranza parlamentare di segno diverso. Come in Francia è successo più volte in passato.

Il "Sindaco d'Italia" che Renzi auspica non è compatibile con l'attuale Forma di governo parlamentare. Di conseguenza, Renzi dovrebbe essere coerente e dichiarare di essere assertore di una modifica della Costituzione in senso presidenziale. Il "Sindaco d'Italia", per poter effettivamente governare come vuole, dovrebbe contare su una maggioranza parlamentare garantita "per legge". Ossia Renzi auspica una concentrazione del potere (i liberali, invece, vogliono sempre la separazione e la distinzione fra i poteri), con il Parlamento ridotto ad un'appendice del Governo. Peggio di come avviene oggi, di fatto (ma non secondo Costituzione); esattamente come avviene nelle Regioni, in cui il Consiglio regionale è legato alla persona fisica del Presidente della Regione. In conclusione, questo Renzi-pensiero si conferma un po' deboluccio, o pericoloso, secondo i punti di vista.

Angelo Panebianco, nel consueto editoriale nel quotidiano "Corriere della Sera" (edizione del 27 ottobre 2013) ci mette in guardia da "riforme ed inganni" inerenti ad un'eventuale modifica della legge elettorale. Il non detto è chiaro quanto ciò che si legge: meglio la legge elettorale vigente, che, almeno, ha una logica maggioritaria.

Viene davvero malinconia a pensare che questi, Renzi, Panebianco, sarebbero i migliori progressisti e riformatori di cui oggi l'Italia dispone. Non a caso concordanti, nel voler lasciare nell'immediato la legge elettorale così com'è, con Berlusconi e Beppe Grillo: ossia con coloro che, per ragioni diverse, vogliono continuare ad avere l'opportunità di nominare uno per uno i propri parlamentari.
LIVIO GHERSI


9 ottobre 2013

 

Bipolarismo (e promesse da marinaio) vera causa dello stallo politico. Ma forse la Corte...

Dopo l’auspicio della repubblicana Roberta Culiersi e l’intervento di Nico Valerio (v. articolo precedente), l’avv. Enzo Palumbo, già presidente del Partito Liberale, introduce nel dibattito nuovi e interessanti elementi sul ruolo e le possibilità pratiche che i Liberali, intesi nel senso più lato, potranno avere nel dopo-Berlusconi.

Caro Nico, Ti ringrazio per avermi segnalato il Tuo articolo, nel quale hai avuto la cortesia di citarmi, assieme al comune amico Salvatore Buccheri, ed in termini che mi sono sembrati assolutamente appropriati; lo considero un cortese espediente per indurmi ad intervenire con un commento, e non mi sottraggo.

Il discorso di fondo è quello di sempre, che è poi la tesi di Roberta ed anche la ragion d’essere di Liberali Italiani, su cui hai pubblicato il Tuo articolo: i liberali coi liberali, e, logicamente, anche i popolari coi popolari ed i socialisti coi socialisti.

Sulla sconfortante diagnosi dell’attualità non ho difficoltà a concordare, ma trovo che all’origine delle mutazioni genetiche della cosiddetta Seconda Repubblica non ci sia tanto il c.d. “berlusconismo”, che semmai ne è una conseguenza, quanto piuttosto il “bipolarismo”, che nasce dalle macerie della prima Repubblica e sulla convinzione che fosse necessario cercare una scorciatoia per transitare velocemente alla democrazia dell’alternanza, il che ha inevitabilmente provocato una diversa strutturazione del sistema politico.

L’ipotesi che stava alla base della riforma elettorale del 1993 era che, sotto la spinta di una legge tendenzialmente bipolare se non ancora bipartitica, i protagonisti della Prima Repubblica si sarebbero via via accorpati in ragione della loro pregressa affinità ideologica e della prospettiva di comuni obiettivi; e così, per stare al nostro caso, i liberali si sarebbero uniti ai repubblicani, e poi ai radicali ed ai laici in genere; analogamente avrebbero fatto a loro volta i socialisti delle varie confessioni, prima tra di loro e poi coi postcomunisti divenuti anch’essi socialisti; ed a quel punto anche i postdemocristiani avrebbero per necessità subìto un processo di forte omologazione tra le tante correnti che li avevano in passato divisi e si sarebbero omologati in tutto ai popolari europei.

Alla luce dei fatti, oggi possiamo concludere che quel progetto era sbagliato o comunque è fallito, il che poi è la stessa cosa: piuttosto che l’unione di ciascuna cultura politica, il bipolarismo ne ha provocato la divisione ed addirittura la frammentazione, mentre la ricomposizione necessitata dal bipolarismo è avvenuta secondo una logica che non era più quella della rappresentanza degli interessi della propria area politica, ma piuttosto quella dell’ostilità verso gli altri, e, nell’un campo come nell’altro, sotto l’alibi costituito dal “programmismo”, quasi sempre fantasioso e velleitario, in un crescendo di promesse che ciascun soggetto politico pensa di potere impunemente fare, anche se non ha la più pallida idea circa la loro intima coerenza e la loro concreta praticabilità.

Ciò che prima era unito sulla base di una comune concezione della società, si è scomposto nelle sue diverse anime e si è poi ricomposto secondo una logica che non è più quella della rappresentanza (con le sue regole naturali, alle quali ciascun elettore prestava quasi naturale consenso in relazione alle convinzioni che nascevano dalla sua personale formazione culturale), ma piuttosto secondo la logica del “programmismo” (la cui unica regola è stata quella della cattura occasionale del consenso per la conquista del potere, o, se si vuole, per impedirne la conquista agli avversari divenuti nemici).

La proposta politica è quindi totalmente cambiata: all’affermazione “io sono” (che consentiva una valutazione sulla credibilità e coerenza rispetto ai comportamenti del passato ed alla credibilità per il futuro), si è sostituita l’affermazione “io propongo” (che obbliga ad una scommessa al buio sul futuro), e su questo nuovo scenario si è costruita la cattedrale delle aspettative, quasi sempre deluse perché basate su promesse impossibili da mantenere.

Sulla scia del “programmismo”, a seguire, sono venuti gli altri “ismi” tipici della seconda repubblica, che hanno malamente sostituito quelli ideologici della prima: il leaderismo (con compiti di supplenza rispetto alla mancanza di idealità), il populismo (che ne è il naturale corollario), il trasformismo (prima assolutamente residuale), il bellicismo (con l’avversario trasformato in nemico), l’estremismo (per restare sempre in sovraesposizione), il giustificazionismo per i propri sodali (sulla base del noto aforisma di Roosevelt riferito al dittatore nicaraguense Noriega: “sarà pure un figlio di p. ma è il nostro figlio di p.”).

Berlusconi è stato il più lesto di tutti a capire ciò che stava accadendo, e si è subito sintonizzato sul nuovo spartito, mentre gli altri ci hanno messo un po’ di più, anche se non ci sono riusciti del tutto, perché quelle caratteristiche della nuova stagione politica, che in Italia sono sempre state connaturali alla destra, hanno trovato una sinistra ontologicamente refrattaria, sino al punto da favorire la nascita, proprio nella sua area, dell’ennesimo “ismo” che tutti li riassume: il “grillismo”.

Se il bipolarismo, come io credo, è all’origine della malattia della nostra democrazia, è qui, sulla causa e non sui suoi effetti, che si deve intervenire per imboccare la strada della guarigione.

Il fatto si è che ogni mutazione del sistema elettorale provoca una corrispondente mutazione nel comportamento degli elettori: la stessa persona, nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, vota in maniera diversa a seconda che ci sia un sistema elettorale piuttosto che un altro.

E trovo abbastanza naturale che gli attuali protagonisti della politica, che sono nati dal bipolarismo, siano naturalmente portati a preservarlo, in una forma o nell’altra; e, se così sarà, resta un pio desiderio ogni ottimismo sulla prospettiva delle convergenze ideologiche auspicate da Roberta.

A meno che, la Corte Costituzionale, che lo scorso anno ha salvato questa schifosa legge elettorale dalla tagliola referendaria, non si decida questa volta a fare il suo lavoro, accogliendo la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Cassazione su istanza di un gruppo di cittadini, il cui primo firmatario, guarda caso, porta il nome di Aldo Bozzi, omonimo del suo avo tanto caro ai liberali d’antan come me, e così mandando al macero il premio di maggioranza, se non anche le liste bloccate, come pure sarebbe auspicabile.

Ne risulterebbe in tal caso un sistema proporzionale con soglia al 4%, un po’ come in Germania (soglia al 5%) o in Austria (soglia al 4%), che per i liberali è obiettivo difficile ma non impossibile, talvolta centrato (come per il NEOS in Austria), talaltra no (come da ultimo per la FDP in Germania), e così anche propiziando ciò che anche in Italia l’ALDE sta tentando di fare.

Solo a quel punto, tutto sarà possibile, anche che i liberali, quelli nuovi più facilmente che quelli della diaspora, si ritrovino insieme, e che la stessa cosa facciano i popolari ed i socialisti. E, se così non sarà, il nostro sogno, quello di Roberta, il Tuo ed il mio, resterà tale, e ci risveglieremo, magari ritrovandoci con qualche “ismo” in più!
ENZO PALUMBO


7 ottobre 2013

 

Dopo Berlusconi. Sicuri che il berlusconismo non ha fatto danni e che i liberali sono pronti?

«Sorrido nel vedere figli e figliastri di Berlusconi dimenarsi per raccogliere l'eredità di un centro-destra che non esisterà più. Berlusconi era “il” centro-destra. Berlusconi era “il” bipolarismo. Senza di lui niente sarà più come prima, si rassegnino». Così la volitiva salentina Roberta Culiersi, repubblicana con passione, su Facebook. E prosegue in vari post: «Sono straconvinta che quest'Italia, passata la sbornia berlusconiana, guarirà dal disturbo bipolare. E che le prossime partite si giocheranno secondo lo schema europeo: popolari, socialdemocratici, liberaldemocratici. E che in area Lib-dem ci possano essere delle sorprese: le teste ci sono, e sono tra le migliori in Italia. Lealtà e competenza le uniranno, le stanno già unendo». E in quanto a popolari e socialisti? «Si riuniranno e poi si scanneranno. E i liberaldemocratici faranno da cerniera. E saranno determinanti, per molto tempo. Dopodiché i tempi saranno maturi. Per il primo Governo liberaldemocratico della storia d'Italia».

Cara Roberta, spero che tu abbia anche doti di porta-fortuna, ma la Ragione purtroppo non è con te. Ho appena finito di dire agli amici liberali d.o.c. Salvatore Buccheri ed Enzo Palumbo (appena dimessisi dal piccolissimo Partito Liberale, «perché stanchi di fare solo testimonianza» e niente attività politica, dietro quella che io ho sempre definito solo una icona ormai impossibile da usarsi nella politica italiana), che non vedo all'orizzonte un nuovo grande soggetto liberaldemocratico di tipo europeo.

Come mai? Perché non mi sembra proprio che vogliano riunificarsi contemporaneamente anche i socialdemocratici e i cattolici (o popolari o conservatori, o come altro si vogliano chiamare). Tanto che per paradosso chi volesse aiutare una sola di queste tre grandi opzioni ideologiche, farebbe prima a cercare di facilitare le altre due. Perché tutte e tre si tengono. Quindi una triplice fatica: roba da Ercole.

Questo, senza neanche accennare al secondo e grave motivo ostativo: la famigerata litigiosità interna tra liberali, repubblicani e radicali, riflesso dell’inadeguatezza assoluta delle classi dirigenti laiche e della media borghesia italiana degli ultimi decenni. Come mai, infatti, i liberal-democratici non si sono mai uniti in Italia, neanche quando dovevano fare fronte comune contro fascisti, clericali e comunisti, ma erano divisi polemicamente in liberali, repubblicani, liberali cattolici e radicali?

Nulla sarà come prima? Sì, ma in che senso? Ricordiamoci (per averlo letto sui libri) del dopo-Fascismo. Ecco, siamo ad una situazione analoga, in piccolo, ma molto diversa. Cioè i danni del berlusconismo non si esauriscono con la morte politica (annunciata e non certo reale, attenti) del Grande Venditore di Pentole fallate. Il berlusconismo ha ormai inficiato Destra, Centro e Sinistra. Già faziosi per DNA psico-sociale (cfr. Dante ecc.) gli Italiani si sono buttati a pesce sui capi-popolo carismatici. Per loro oggi la politica è come Inter-Milan o Roma-Lazio, cioè il Bene contro il Male. E servono non imbonitori da fiera che ci illudano, ma antipatiche Cassandre, cioè psicologi bravi e politici colti e realisti, che prevedano i lenti movimenti delle convinzioni delle masse italiche. Ed è difficile per i pigri laici rieducare queste masse italiche ottusamente conservatrici alla politica normale europea, quella delle idee: liberali contro socialisti contro cattolici-popolari-conservatori. Anzi, attenti, ogni volta che noi parliamo male della classe politica, la gente capisce (perché glielo hanno detto i Berlusconi e i Veltroni, i primi convinti interpreti del bipolarismo senza idee) che “la colpa è delle Ideologie”, cioè dei partiti con idee. Quindi anche colpa nostra, dei Liberali. E no, non è vero: sarebbe un effetto paradossale e ingiusto.

Dobbiamo, invece, far capire che la colpa è solo della gente: non sa, non si interessa, non capisce i messaggi, non legge i giornali, insomma non sa usare lo strumento democratico del voto, non sa scegliere. Ci risiamo: basta un capo-popolo qualunque che dica due sciocchezze estreme recitando come un guitto che subito l’Italiano-medio cala le brache: Mussolini, Giannini, Bossi, Grillo... Senso critico dell’italiano-medio? Pari a zero: la stragrande maggioranza non riesce proprio a discriminare tra i politicante buffone o arrivista e il politico serio e responsabile.

Un commentatore a questo punto mi oppone: «Ma il dopo Fascismo ha portato Einaudi, De Gasperi ed il boom economico. Temo che questa volta non saremo così "fortunati"».

Certo, ma io parlavo solo dei danni morali. I "miei" Croce ed Einaudi, i nostri Salvemini e La Malfa, i loro De Gasperi, per fortuna erano lì, uomini giusti nel momento giusto. E c'era stata una dura guerra, come si sa, catartica, da cui si può solo rinascere, con una società anche anagraficamente diversa. Oggi ci sono lentissimi movimenti, invece, e prima il lassismo DC-PCI nella scuola, poi la TV asservita a DC e a Berlusconi, hanno lasciato la gente nell'ignoranza e nel conformismo impedendo con la diffusione dello spirito critico la nascita di una nuova classe dirigente. Colpa dei borghesi, della classe media, della “gente”, che avendo in schifo la politica non è entrata nei Partiti per migliorarli. Invece, ai tempi di Einaudi e De Gasperi la borghesia pensava, eccome, all'Italia e alla politica sociale (Olivetti, Mattioli, p.es.). Oggi quella orribile classe media che abbiamo pensa solo a se stessa, ai piccoli e meschini vantaggi, a come aggirare leggi e divieti, alle presentazioni e raccomandazioni. Nessun ideale: “O Franza o Spagna, purché se magna”  (leggi: incarichi, commesse, cooptazioni in consigli di amministrazione, lucrose e immeritate carriere accademiche o giornalistiche, consulenze, affari, speculazioni. Quando non corruzione aperta e ladrocinii veri e propri). Nessun merito, solo furbizia, illegalità e prepotenza. La famosa morale laica, per cui un tempo liberali e repubblicani erano famosi, se n’è andata. Come se tutti fossero stati trasformati di colpo in piccoli commercianti avidi e imbroglioni d’un suk arabo. Ecco la differenza.

Dimenticavo il mio solito “in cauda venenum”: tra gli errori disastrosi della gente oggi, che mi fanno disperare (pessimismo della ragione che supera alle volte l'ottimismo della volontà) c'è un dato gravissimo e deprimente: i nostri rispettivi partiti laicisti sono slabbrati, senza idee, senza identità, e quindi in mano a persone di secondo o terzo piano, per lo più "provinciali" e sottoculturali: i liberali non sono più davvero liberali ma solo liberisti, i repubblicani sono diventati solo conservatori, i socialisti addirittura di Destra, i radicali settari dediti a un capo carismatico istrione. E questi sarebbero i nostri punti di partenza? Ma se Pannunzio, Einaudi, Croce, La Malfa, Calogero, Ernesto Rossi, Salvemini, ecc. risorgessero, imprecherebbero contro di noi, prima ancora che contro gli avversari. Siamo noi i nostri primi nemici di noi stessi. Suvvia... Perciò dico che il berlusconismo ci ha già irrimediabilmente cambiato. E dopo il decadimento politico, economico e morale, ci vorranno decenni di rieducazione laico-liberale di giovani e vecchi per risollevarsi...

AGGIORNATO IL 13 OTTOBRE 2013


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