26 dicembre 2009

 

Pannunzio tirato per la giacca, ovvero, il furto della salma, sport nazionale italiano

Un tempo si era tutti cavourriani, bei tempi, anche se già allora le serpi in seno, gli infiltrati per secondi fini, non mancavano. Poi tutti crispini, poi giolittiani, poi - si sa come andò a finire per la vigliaccheria nazionale - tutti fascisti. Poi, a fascismo sconfitto, ci si ricordò di essere stati in realtà tutti e sempre crociani. E il povero Croce non ha colpe: gli opportunisti erano i suoi finti discepoli di destra e sinistra, più i tanti senza idee. Poi, ancora, tutti marxisti, poi tutti democristiani (compresi quelli con la "molletta al naso", come Montanelli). Ora tutti berlusconiani. Finché Berlusconi non cade, ovviamente, dopodiché tutti diranno nei convegni di essere stati "antiberlusconiani da sempre, com'è noto".
E Pannunzio, come viene visto nel Bel Paese dell'opportunismo di massa e della faccia di bronzo come vera maschera nazionale? Intanto, aleggiavano su di lui da tempo gravi indizi. Per decenni era stato preoccupante il tasso di "sue" citazioni (vere, adattate, verosimili o false) che si potevano leggere sulla stampa. Sembra quasi di rivivere - ricordate? - il periodo in cui tutti si dicevano ammiratori di Ennio Flaiano e citavano a gara i suoi aforismi, veri o improbabili che fossero. Ahi, brutto segno: tutti pannunziani, nessun pannunzionano.
E che dire di quell'insopportabile finta nostalgia? Sembra di leggere Villon. "Ah, com'era bello Il Mondo d'antan, quel raffinato foglio per un'élite colta e illuminata, ben scritto, ben illustrato..." Che però, a vedere le tirature, ben pochi di lor signori leggevano. Anzi, è da ritenere che proprio il conformismo e l'insensibilità di molti intellettuali e giornalisti, magari proprio quelli che decenni dopo lo avrebbero lodato con nostalgia, condannò alla chiusura.
E' da quarant'anni che certi intellettuali, professori e giornalisti snob si atteggiano a "pannunziani" in ritardo o "eredi del Mondo" fuori tempo massimo. Magari proprio quelli con cui il grande direttore del "Risorgimento Liberale" e del "Mondo" non ebbe mai nulla a che fare, o con i quali era in profondo disaccordo, o che addirittura non stimava minimamente.
E' probabile che proprio alcuni di questi, certo una minoranza, per una sorta di Nèmesi al contrario ben nota agli psicologi, ora vogliano per vendetta verso i suoi "no" da vivo, amarlo con la forza da morto, impossessandosi del suo cadavere calcinato dagli anni per piegarlo - orribile a dirsi - ai più turpi disegni.
Scherzo, naturalmente, ma il pensiero mi è venuto, mentre si avvicina (marzo 2010) il centenario, querllo vero (era nato il 5 marzo 1910) di Pannunzio, nel leggere qualche articolo e nell'ascoltare qualche brano di relazione di convegnisti convocati con uno strano grande anticipo sul calendario (dicembre 2009) in un paio di convegni su Pannunzio, uno dei quali a cura del Corriere della Sera, a Milano. Convegni, dai quali Pannunzio in vita si sarebbe tenuto ben distante.
Ma, a parte il macabro sport nazionale del "furto della salma", non vorrei che capitasse al povero Pannunzio quello che sta capitando al Liberalismo in Italia. Tutti lo lodano, che dico?, lo rimpiangono con nostalgia, proprio ora che non lo votano più, e anzi si oppongono ad una qualche coalizione autenticamente liberale, e perfino all'interno dei vari partiti ostacolano le soluzioni liberali. Necrofilia? Speriamo di no.
Ma ho scritto troppo, e non vorrei che quelle che volevano essere "due righe di presentazione" mettessero in imbarazzo l'autore del brano seguente. Sull'anniversario e la figura dell'intellettuale e giornalista liberale, che fu anche un politico malgré soi, è uscito, per opera del Centro Pannunzio di Torino un volume "Liberali puri e duri. Pannunzio e la sua eredità"di cui riportiamo un brano come se fosse una quarta di copertina, a firma del suo direttore, il prof. Quaglieni.
NICO VALERIO
.
"C’è stata una tendenza a considerare Mario Pannunzio un radicale. È vero che egli fu uno dei fondatori del primo partito radicale nel 1955, ma è altrettanto vero che nel 1962 si dimise da quel partito che sotto la guida di Marco Pannella prese tutt’altro orientamento.
Un’altra tendenza è stata quella di considerare il quotidiano "La Repubblica" una sorta di erede del "Mondo" di Pannunzio, malgrado molti autorevoli collaboratori del "Mondo" pannunziano avessero scelto di scrivere su "Il Giornale".
Un terzo equivoco da chiarire è stato provocato da storici improvvisati che confondono Pannunzio con l’Azionismo [la politica del Partito d'Azione, erede in qualche modo del movimento antifascista Giustizia e Libertà, talvolta ondivaga e ambigua a causa delle sue diverse e contrastanti componenti ideologiche, NdR], che invece ha poco o nulla da spartire con lui che fu e rimase intransigentemente anticomunista.
È stata poco evidenziata invece la matrice schiettamente liberale di Pannunzio e la sua coerenza che portò uno dei collaboratori più autorevoli del "Mondo", Francesco Compagna, a definire Pannunzio "un liberale puro e duro". Il liberalismo di Pannunzio aveva radici profonde che si ritrovano nel saggio Le passioni di Tocqueville, scritto da Pannunzio nel 1943.
Pannunzio fondò, prima del "Mondo", il quotidiano "Risorgimento Liberale" che diresse dal 1944 al 1947. Su quel giornale scrisse molti editoriali che consentono di farci capire il suo liberalismo. In anni difficilissimi Pannunzio non esitò a chiedere la fine dei governi espressione del CLN, il ripristino della legalità al Nord dopo il 25 aprile 1945, denunciando con pari coraggio il dramma delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, dei prigionieri italiani in Russia. Il suo anticomunismo fu pari al suo antifascismo.
"Il Mondo" fu il suo capolavoro giornalistico. Le migliori firme della cultura liberaldemocratica e socialista-liberale si raccolsero attorno a quel settimanale, aperto alla collaborazione di molti, ma capace di essere intransigente su alcuni principi e valori irrinunciabili. Ha osservato Nicola Matteucci che "Il Mondo ha rappresentato la coscienza liberale dei problemi del nostro tempo". Anche se i risultati delle battaglie del "Mondo" non apparvero subito, essi si videro molti anni dopo quando i temi impostati dal settimanale riemersero, rivelandosi anticipatori di una cultura senza certezze dogmatiche. Quella cultura - scrisse Norberto Bobbio alla fine degli anni ’80 - "è più di casa in Italia oggi che trent’anni fa. La cultura che sembrava di pietra dura, come il marxismo, è piena di crepe".
PIERFRANCO QUAGLIENI

This page is powered by Blogger. Isn't yours?