29 aprile 2006

 

Idee, critica e senso della Storia non bastano, se mancano organizzazione e pubblicità.

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SBAGLIATE LE CRITICHE A DESTRA E SINISTRA

LIBERALI, I PEGGIORI NEMICI DI SE STESSI

NICO VALERIO, L’Opinione, 15 marzo 2006

I nostri amici liberali, di ogni tendenza, partito e schieramento, oggi si lamentano e gridano al tradimento e all’incomprensione. "Ah, in che Italia illiberale viviamo – dicono – che razza di mascalzoni politici che abbiamo. Ci hanno boicottato, non hanno rispettato i patti, non hanno voluto inserire liste liberali e neanche candidati liberali né a Destra né a Sinistra". Ma i nostri amici sbagliano, e di grosso.

La politica non è la Congregazione delle Dame di S.Vincenzo, in cui è buona norma fare "opere di bene". Può piacere o no, ma da che mondo è mondo la politica segue le leggi filosofiche della "utilità", e per questo tiene conto, proprio come l’arte militare, delle "forze" reali in campo, oltre che della psicologia dei capi. Uno stratega, un generale, secondo voi metterebbe in prima linea un battaglione di brocchi, di poche reclute mal equipaggiate e alla prima uscita, solo perché il suo comandante è un nobile d’alto lignaggio con un passato glorioso? No, quello che conta è l’oggi, l’organizzazione, l’abilità di trovare, indottrinare e addestrare i soldati, e poi la capacità effettiva di combattere con qualche probabilità di vincere.

Ebbene, i liberali, anche quelli delle sigle o dei nomi più gloriosi, dal PLI nel Centro-destra al gruppo di Zanone nel Centro-sinistra, si sono finora cullati nel culto delle memorie, nella nostalgia più struggente ma inconcludente dei tempi lontani in cui erano "prestigiosi, potenti e famosi". Ma, nonostante che molti di noi – per esempio, chi scrive, e il direttore di questo giornale – li abbiano più volte benevolmente strigliati perché passassero dalla sterile nostalgia all’azione, alla politica vera, nulla, assolutamente nulla hanno fatto nel decennio che ci separa dal fatidico 1993-1994, la stagione che vide la crisi della Prima Repubblica.

Né uno straccio di riunificazione, né rilanci operativi, né un po’ di propaganda spicciola tra le nuove generazioni, né addirittura quell’approfondimento teorico – convegni, grandi congressi – che serve in mancanza d’altro, insieme con la polemica politica quotidiana (perfino questa assente), almeno a far sentire ai giornali, alla tv, agli intellettuali dell’area liberale, e al largo pubblico che segue i mass media, che un soggetto politico liberale esiste ancora, respira. Nulla, lo zero assoluto. Quando, invece, i cugini radicali, naturale pietra di paragone per i liberali, pur nell’analoga modestia di forze e di mezzi, dimostravano ogni giorno non solo di essere in vita, ma di poter influire sulla vita politica italiana, imponendo addirittura temi di discussione.

Tutte carenze che, come le vediamo noi, le vedono anche i responsabili delle coalizioni di Destra e di Sinistra. Hanno capito subito che questi liberali super-individualisti e nostalgici, schizzinosi e snob, inadatti alla vita politica pratica, però frazionisti e uno contro l’altro (un esempio tra mille: il PLI quasi non esiste, ma in Sicilia qualcuno ha fondato il Nuovo PLI), che non sanno fare propaganda tra la gente, tra i giovani, le nuove coppie, le casalinghe, i pensionati, e tra gli stessi intellettuali liberali, incapaci di farsi capire perfino dai giornalisti con uno straccio di evento o di comunicato fatto bene, non avrebbero portato un solo voto tranne il proprio. E hanno visto giustamente le pressioni degli esponenti liberali per entrare nelle coalizioni solo un mezzo per mettere al sicuro la propria carriera professionale.

I liberali, perciò, anziché lamentarsi dei politici avversari, se la prendano con se stessi, con le invidie personali, col rifiuto di azzerare tutte le sigle e di creare, per esempio, una grande Assemblea costituente di tutti i Liberali italiani (basta col nome "partito") che miri almeno al 10-15 per cento alle elezioni del 2011. Se la prendano col proprio individualismo sfrenato, col frazionismo maniacale e asociale, con quel famigerato narcisismo aristocratico grazie al quale è nato in casa liberale il detto autoironico (sì, perché i liberali sono dei gran signori dotati di humour) per cui "ogni liberale è un partito a sé". Ma se la prendano anche con i propri leader, che saranno pure veri liberali, ma si sono dimostrati da dieci anni in qua del tutto inadatti all’organizzazione di partito, alla lotta politica, perfino a creare dei banali uffici stampa. Che vogliono fare da soli, ma non sanno fare nulla, e quindi non fanno. E si sbrighino, anche, perché quel 30 per cento buono di liberali potenziali che l’Italia, come grande nazione dell’Occidente, bene o male dovrebbe avere, e che ora sono sparsi tra dieci partiti, rischiano di dimenticare o di ignorare per sempre l’esistenza d’una casa madre. Insomma, altro che nemici: sono i liberali italiani i peggiori nemici di se stessi.
NICO VALERIO


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