29 gennaio 2007

 

Pagliuzzi: "Noi liberali di destra stiamo con la piazza di destra"

Dopo la riuscita manifestazione del Centro-Destra a Roma, culminata nell'adunata di piazza S. Giovanni, il sen. Gabriele Pagliuzzi, leader di Destra Liberale-Liberali per l'Italia ha scritto nel sito dell'associazione un articolo che pubblichiamo qui di seguito. Chi vuole, può leggerlo anche nella veste originaria.
L'articolo, che in sostanza vede come naturale, oggi, la presenza dei liberali italiani dentro la CdL, pur con alcuni distinguo, ha sollevato obiezioni e critiche nel Coordinamento dei Liberali Italiani, in particolare da parte di Beppi Lamedica (Veneto Liberale) e Raffaele Morelli (Federazione dei liberali), i cui interventi sono pubblicati dopo di questo. Alle due risposte critiche replica ki stesso Pagliuzzi con un suo ulteriore articolo chiarificatore. Tiportiamo l'intero filone del dibattito (NV).
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LA PIAZZA DI ROMA E LE SCELTE POLITICHE DEI LIBERALI ITALIANI
di Gabriele Pagliuzzi, 29 dicembre 2006
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Una pattuglia della Destra Liberale ha partecipato alla grande manifestazione di Roma contro il governo Prodi e la sua finanziaria. Nella multiforme presenza di simboli ascrivibili a tutto l’arco del Centro – Destra, salvo le note assenze, spiccavano, destando curiosità fra i convenuti più prossimi, le nostre bandiere.
Se meraviglia poteva essersi generata a ragione della nostra, per ora esigua, notorietà non vi erano dubbi per i più attenti che quella riportata sulle nostre insegne era un pezzo non secondario della storia politica italiana.
Perché dunque i liberali, quelli doc della Destra Liberale, in Piazza S. Giovanni?
Per più di un motivo. Innanzitutto perchè un governo così condizionato dalla sinistra più radicale sta inanellando tutta una serie di provvedimenti fiscali che esprimono una volontà punitiva e un odio di classe di cui si era persa memoria anche in un Paese come il nostro che non vanta certo salde tradizioni liberali.
Inoltre, la battaglia contro questa maggioranza contraddittoria, ma indiscutibilmente legata alle poltrone, è un’opportunità importante per attaccare un sistema di democrazia bloccata che dopo le speranze accese con il maggioritario ha riconsegnato il Paese all’arbitrio di consorterie e potentati senza ricambio e senza controlli.
In questo senso va letto il significato della stupefacente manifestazione che non solo ha superato in termini numerici ogni previsione degli organizzatori ma che ha anche spiazzato gli stessi leader della Casa della Libertà, investendoli di un mandato il cui soddisfacimento potrebbe non essere alla loro portata più che per ragioni anagrafiche o di salute per loro intima coerenza e determinazione riformatrice.
Non c’è dubbio che i soldi e la forza mediatica della macchina berlusconiana costituiscano oggi la condizione necessaria nella quale il campo opposto alla sinistra possa operare con probabilità di successo.
Però, come le ultime elezioni hanno dimostrato, questo non è sufficiente perché il moderatismo italiano, che è maggioritario nel Paese, ritrovi tutte le ragioni di adesione al programma del Centro-Destra.
I cinque anni di legislatura della Casa della Libertà da una parte hanno evidenziato le anomalie di un sistema bipolare a fronte esteso e dall’altro hanno provocato parecchie delusioni ai suoi elettori. Non ci sono stati per esempio passi importanti verso la semplificazione dello Stato e la riduzione dell’apparato pubblico. Anzi, con la crescita di nuove province e la catastrofica legge sul federalismo giustamente cassata, l’enfiagione della burocrazia è diventata un mostro sempre più minaccioso e incontenibile. Per non parlare dei costi ingiustificati dei partiti, della stampa assistita, delle mille greppie di cui si nutrono gli apparati pubblici. Ma su tutto preme l’assenza di un vero libero mercato, asfissiato com’è da posizioni dominanti e monopoli mascherati, talchè da convinti liberali diciamo che in assenza di un libero mercato vero è meglio una proprietà pubblica efficiente e non è detto che non possa esserlo alla faccia di Bruxelles.
Anche sul mito europeo e di riflesso sulle relazioni con gli Stati Uniti non si è visto da parte del vecchio Centro-Destra uno scatto di sano e convinto interesse nazionale con il risultato di rendere la nostra posizione nel Mediterraneo poco meno che di conserva a strategie in cui siamo completamente assenti. Di converso ci siamo impegnati con costi umani ed economici non trascurabili su scenari quali l’Irak e l’Afganistan senza un reale interesse per il nostro Paese, non potendo credere da liberi uomini di destra alla favola della democrazia da esportare nel mondo.
Per tutti questi motivi, ed altri ce ne sarebbero ancora, la tentazione di una posizione autonoma e critica nei confronti dei due poli che sempre di più rappresentano la pantomima di un vero sistema di alternanza liberale e che aspettano di trasformarsi in partiti unici per meglio monopolizzare consenso e rappresentanza, è grande.
Tuttavia questa ambizione rischia di diventare un’arma controproducente e dai costi irraggiungibili. Il popolo di Roma in mezzo al quale ci siamo trovati benissimo e con il quale si è respirata un’aria di condivisione istintiva si aspetta altre cose.
Più che fazioni, solidità di tenuta delle comuni convinzioni. Più che distinguo politichese, coraggio e determinazione di programmi. Se il processo di razionalizzazione in corso sul versante del Centro-Destra, che è quello che ci interessa, è il dialettico bacino di riferimento per la nostra posizione liberal-nazionale non vi sono motivi per respingere questa opportunità.
A queste condizioni: non farsi regalare mai niente da nessuno, affrontare con le proprie forze ogni utile verifica elettorale, provocare ogni volta che sia possibile momenti di unità e viceversa agire autonomamente laddove non ve ne siano le condizioni, insistere e propagandare con ostinazione i punti qualificanti della nostra posizione politica ed ideologica.
Dato che crediamo che i movimenti politici debbano nascere dal basso e consolidarsi nella coscienza dei cittadini e che quello di cui ha drammaticamente bisogno in questo momento il nostro Paese sia una profonda rivoluzione morale che ponga al centro il sacrificio personale e la trasparenza di quanti intendono dedicarsi alla cosa pubblica, non c’è pericolo di parlare, con questa "cassaforte" ideale alle spalle, con circoli, consessi o dirigenze della Casa della Libertà impegnati a costruire attraverso il passaggio di una federazione il futuro partito unico del Centro-Destra.
A condizione beninteso di non arretrare dalle nostre convinzioni a partire dalla legge elettorale che giudichiamo sbagliata così come riteniamo inaccettabile trasformare per forzature di sistema il bipolarismo in bipartismo perfetto.
In aggiunta pensiamo che il modello "partito" continuamente riproposto sia a sinistra che a destra costituisca un modello vecchio, appartenuto ad un passato remoto buono per il novecento ma non per il duemila. Le strutture "chiesa" o monarchie "incostituzionali" sono le meno adatte a far crescere il merito e la sana partecipazione alla politica. Per aggredire questa concezione e questi disegni interessanti occorre far affidamento questo si, dalla nostra parte, ad un movimento coriaceo fatto di uomini e donne che sappiano rischiare in prima persona, che sia lucido negli obbiettivi e duro nella sua azione: una forza anche piccola di difficile ingestione da parte di "amici" ed avversari.
Queste sono le coordinate che la Destra Liberale intende seguire e che ha dimostrato fino ad oggi, pur con tutti i limiti, di onorare.
Se le insorgenze liberali sparse per l’Italia si riconoscono in questi intenti e negli obiettivi che sintetizziamo ancora una volta nell’antico motto di "Patria e libertà", saremo, come sempre, pronti a creare condizioni comuni di attività e di presenza per dare risposta alle volontà espresse dalla moltitudine convenuta alla manifestazione romana che, al di là delle apparenze, non costituiscono un credito aperto e indefinito all’attuale organizzazione politica del Centro-Destra e alla sua leadership.
GABRIELE PAGLIUZZI

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