8 dicembre 2006

 

I liberali non parlano anche perché non hanno un "pulpito" da cui parlare

Sul quotidiano L'Europa del 7 dicembre, il giornalista Federico Orlando, vecchio liberale, partendo da alcuni problemi etici, economici e politici sollevati in Italia nelle ultime settimane, striglia con la spazzola di ferro i liberali italiani, rei di assenza totale dal dibattito, dal caso etico-giuridico della "morte dolce", auspicata come diritto di libertà individuale da Welby, fino alle lobbies dei notai o di altri professionisti che si oppongono alle liberalizzazioni. Nel mirino di Orlando sono tutti i liberali, sia che oggi militino per il Centro-sinistra, sia per il Centro-destra (lui in questo caso li chiama "conservatori liberali").
Ma, intanto, uno come lui, col suo passato, non dovrebbe essere più equanime, e anche più partecipe delle responsabilità dei liberali in Italia, anziché fingere di essere il marziano di Flaiano caduto all'improvviso sulla Terra?
Lo sappiamo, che chi ha memoria finisce per diventare antipatico. Conserviamo nella nostra fornita biblioteca le annate rilegate in tela verde ed etichetta di pelle marrone della Tribuna di Ferruccio Disnan, raffinata nella sua grafica alla Longanesi, che leggevamo da liberali adolescenti. Ebbene, per anni e anni, solo per limitarci a quel periodo, l'amico Orlando rappresentò l'archetipo del liberale ultra-moderato, se non "di Destra", come testimoniano i suoi accorati articoli sull'agricoltura del Mezzogiorno e la piccola proprietà. Poi, come accadde a molti altri liberal-conservatori, o piuttosto conservatori liberali, alla Montanelli, essendo quasi tutti noi liberali individualisti, spesso di "carattere" e quindi imprevedibili, divenne "di Sinistra". Sempre signorilmente, senza per questo, gli va riconosciuto, aver cambiato idee. Del resto questa è la prima comodità di noi liberali: il liberalismo è così articolato, complesso, tanto dipendente dalle Idee e dalle Regole, tanto al di sopra delle meschine lotte partitiche, che dicendo le medesime cose noi possiamo essere considerati sia "di Destra", sia "di Sinistra". Lo ripeteva anche Benedetto Croce.
Scusate la digressione da "saggio moralista", e torniamo alla strigliata di Orlando, sacrosanta. E’ vero, i liberali italiani – lo ripetiamo da sempre, e anche per questo abbiamo promosso questo Coordinamento – credono che basti una volta per tutte "definirsi" liberali senza fare nient’altro, come se fosse una mera professione di credo religioso, l’opzione una tantum d’una minoranza linguistica, che so, vallone o alto-atesina.
No, il liberalismo è una complessa dottrina, articolata in mille rami, che tutto pervade della vita del singolo e della società. Non c’è aspetto dell’etica e del diritto, dell’economia, della politica e perfino dei rapporti interpersonali su cui un liberale vero non abbia da metter bocca e da suggerire alternative.
Per questo, essendo vile e vergognoso il silensio, non può neanche limitarsi alle poche parole di circostanza, ma è naturalmente spinto ad "agire", a "fare", o per lo meno a "tentare di fare", a "proporre", per rendere sempre più liberale lo Stato, l'ordinamento, la società stessa (anche i cittadini, al loro interno, possono e debbono cambiare). Se no, se cioè il liberalismo fosse solo una mera dichiarazione di principio, non sarebbe così "vincente", davvero l’unica "ideologia" che ha resistito nella Storia e che – nazione dopo nazione, addirittura individuo dopo individuo – sta lentamente conquistando il Mondo.
Eppure, in Italia i liberali dormono. Il "digiuno per Welby" che gli commina Orlando sarebbe meritato quasi come una punizione, come contrappasso corporale per una intellighentzia non abituata a fare del proprio corpo un valore politico e neppure esistenziale. Giusto, per dei razionali come noi, no? Purché non sia la spia di un disinteresse per le cose pratiche, terrene.
Questo dello scarso realismo dei liberali italiani, contro le origini stesse del liberalismo, dottrina pragmatica legata alla realtà psico-somatica, alla terra, alle cose, ai cicli vitali del Mondo, e perciò verificabile, vincente, potrebbe essere in futuro un altro filone possibile di discussione. Ma ora è bene sottolineare la negatività e il pessimismo – antico in lui, per quanto si ricordi – di Orlando sulle prospettive di un partito liberale, definito addirittura "ancronistico". Ma questo c’entra in qualche modo con l’ipotesi di una riunificazione liberale? E’ in grado il raffinato e intelligente Orlando di distinguere tra una banale e obsoleta rifondazione d’un Partito Liberale e la ricostituzione dal basso, a partire dalla riunificazione di tutti i club e i partiti liberali, d’un "grande metapartito o lobby del 30 per cento" (permettetemi l’estemporanea invenzione terminologica)? Per ora, sembra di no. Segno che non abbiamo ancora cominciato a lavorare – con le nostre modestissime forze, e senza giornalisti importanti al seguito, questo è il punto – per diffondere all’opinione pubblica il nostro disegno.
E, a parte queste considerazioni sulla Casa unica liberale del futuro, si potrebbe obiettare all’inutilmente severo e rigoroso Orlando (oggi, troppo tardi: dov’eri, che dicevi, che facevi, negli anni 80 e 90?) che i liberali italiani – a parte la sindrome neghittosa e gattopardesca, a parte il cinismo individualistico e il pessimismo caratteriale di molti – forse non parlano anche perché non sanno da quale "pulpito" parlare, e non avendo una casa comune sanno bene che le voci individuali "uti singuli", le mere testimonianze umane (perché in fondo è questo che chiede Orlando), in politica contano poco più che zero.
A meno che, come fanno egregiamente i bravissimi fratelli Radicali, la testimonianza "umana" sia in realtà un modo più efficace e produttivo di fare azione e propaganda politica. Avendo, appunto, un soggetto politico di riferimento, sul quale far ricadere i vantaggi dell’operazione fintamente "individualistica", insomma il costruito "caso umano". Ma questa è tutt’altra cosa: sarebbe come paragonare il campanaro del villaggio di montagna a Guicciardini

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Gionata Pacor

Le consultazioni di Renato Altissimo e le valutazioni elettorali di Adriano Teso

di Paolo Della Sala


Un nuovo partito liberale? Qualcosa si muove, nelle pieghe della CdL, che ha appena trovato una grande vitalità con le manifestazioni di Roma. L’importante è che non si arrivi ad altre frammentazioni, ma piuttosto a un’unica aggregazione di tutti i liberali italiani, in grado di dare la necessaria linfa ai partiti del centrodestra e all’intera cultura politica e sociale italiana, anche perché i liberali rappresentano una percentuale non indifferente di italiani. La crescente importanza dei liberali è sottolineata in una lettera di Adriano Teso a Renato Mannheimer, in risposta a un articolo del professore esperto in flussi elettorali, pubblicato sul “Corriere della Sera” del 5 dicembre. Adriano Teso è convinto che la vera distinzione politica non dev’essere più soltanto tra destra e sinistra, ma piuttosto quella tra liberalismo e statalismo, tra controllo del mercato da parte dei politici e i valori di sussidiarietà, autonomia dell’individuo e libera impresa. Nella lettera a Manneheimer, Teso invita il sociologo ad approfondire le sue analisi su quell’area politica: “Sarebbe interessante includere in questo tipo di indagini il peso di un voto liberale (voto per un raggruppamento ed una politica liberale, laico, riformista). Non le sarà certamente sfuggito che esiste ormai da tempo un grande fermento in tale area”.

Adriano Teso, industriale, promotore dell’Istituto Bruno Leoni, responsabile di Forza Italia, da tempo è un appassionato promotore dei valori riformatori e del mercato libero, e segue con attenzione la formazione di un nuovo partito liberale. Non si tratta di un’area indifferente. Le stime “tenderebbero ad accreditare a tale area un peso elettorale fra il 10 e il 18%. I voti proverrebbero per un quarto da elettori che nelle passate elezioni avrebbero votato a sinistra”. Un secondo elemento che conferma la crescente spinta verso l’aggregazione delle diverse anime liberali (operazione che sarebbe benedetta e sponsorizzata da molti industriali), è dato da un “giro di consultazioni” avviato dall’ex ministro dell’Industria Renato Altissimo. Altissimo a Milano ha incontrato proprio Adriano Teso, insieme a Elio Catania (ex dirigente di Ferrovie e IBM) e altri esponenti del mondo politico e industriale. La quadratura del cerchio potrà avvenire se la nuova formazione politica saprà trovare echi, adesioni, e un nuovo slancio tra le migliaia di giovani dispersi nei mille rivoli della Cdl, delle associazioni e delle community diffuse nel web.
 
Concordo sulla possibile consistenza elettorale di un ipotetico partito “di” liberali. Le stime “tenderebbero ad accreditare a tale area un peso elettorale fra il 10 e il 18%. I voti proverrebbero per un quarto da elettori che nelle passate elezioni avrebbero votato a sinistra”.
Concordo con l’opinione secondo la quale la contrapposizione più che tra destra e sinistra, dovrebbe essere tra liberali e statalisti.
Perciò non concordo quando si vuole ridurre il ruolo dei liberali a mere ancelle del centrodestra populista e dirigista.
I liberali o si emancipano acquistando il loro ruolo di protagonisti della radicale alternativa liberale al regime populista impersonato da questi poli perbenisti, oppure si riducono ad essere delle “mosche cocchiere” .
Beppi Lamedica – attivista liberale
 
Sono contento e scontento. Contento perché trovo confermato il mio ricorrente tormentone per cui ormai vado famoso: che i liberali italiani ormai sono sul 30 per cento, più o meno. E i sondaggisti dovrebbero prenderne atto e cominciare a formulare i sondaggi giusti per provare l'ipotesi di lavoro. Invece, Piepoli neanche mi ha risposto. Speriamo in Mannheimer.
Sono scontento per tutto il resto.
Siamo il 30 per cento, ma non certo tutti appiattiti sul Centro-destra. Anzi, i liberali - TUTTI - sono sempre molto critici, qualunque sia lo schieramento nel quale li si vuole costringere.
In realtà fanno parte a sé. E si vanno a iscrivere benissimo in quel 20 o più per cento che perfino i sondaggisti hanno attribuito ad un ipotetico Centro. Solo che i sondaggisti sbagliano a voler attribuire questo centro ai cattolici. E anche i cattolici sono numerosi. Anzi, mi chiedo, che cosa resterebbe della politica italiana se si togliessero dai due schieramenti sia i cattolici, sia i liberali.
E infine che c'entra Altissimo? Continui a fare l'industriale. La sua segreteria del PLI rappresenta il periodo più oscuro. E che c'entra FI? E che c'entra l'istituto Leoni? Pensano davvero che il liberalismo sia solo il mercato? Magari. Non hanno parlato di Stato laico e di diritti di libertà: due elementi essenziali per i liberali.
Comunque, che dicevo nel Coordinamento? Se non mettiamo dentro qualche personaggio noto, come primo cristallo della cristallizzazione, ci penserà qualche personaggio "noto", magari già sputtanato, a Destra o a Sinistra, a "fare" un finto partito liberale.
Ecco, si comincia dalla Destra.
E che sia un pretesto pubblicitario è evidente: se davvero la CdL volesse fare un partito liberale, allora basterebbe rendere liberale FI...come pure promisero nel 94.
Perché non lo hanno fatto mai?
Se non sono riusciti a mantenere la promessa di una FI liberale, che credibilità possono avere come "inventori" di un nuovo partito liberale? Ridicolo.
 
Un nuovo schieramento di liberali, sia chiaro, deve essere fondato non solo sulla contrapposizione Stato-Individuo, ma anche sulla laicità, e sui diritti di libertà.
A questo punto la sua collocazione dialettica sarebbe automatica: verrebbe a incunearsi tra i due poli, riducendoli entrambi a conservatori-populisti e socialisti-populisti
 
Ciao Nico!

Allora tutti quelli che hanno militato in FI sono marchiati a fuoco come finti liberali?

Nessuno mette in dubbio che le forze socialiste e democristiane abbiano avuto il sopravvento IN Forza Italia. Ma spero che per questo non mi verrai a dire che Antonio Martino non sarebbe credibile se lasciasse Forza Italia per fare un partito liberale...

Gionata
 
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