9 ottobre 2013

 

Bipolarismo (e promesse da marinaio) vera causa dello stallo politico. Ma forse la Corte...

Dopo l’auspicio della repubblicana Roberta Culiersi e l’intervento di Nico Valerio (v. articolo precedente), l’avv. Enzo Palumbo, già presidente del Partito Liberale, introduce nel dibattito nuovi e interessanti elementi sul ruolo e le possibilità pratiche che i Liberali, intesi nel senso più lato, potranno avere nel dopo-Berlusconi.

Caro Nico, Ti ringrazio per avermi segnalato il Tuo articolo, nel quale hai avuto la cortesia di citarmi, assieme al comune amico Salvatore Buccheri, ed in termini che mi sono sembrati assolutamente appropriati; lo considero un cortese espediente per indurmi ad intervenire con un commento, e non mi sottraggo.

Il discorso di fondo è quello di sempre, che è poi la tesi di Roberta ed anche la ragion d’essere di Liberali Italiani, su cui hai pubblicato il Tuo articolo: i liberali coi liberali, e, logicamente, anche i popolari coi popolari ed i socialisti coi socialisti.

Sulla sconfortante diagnosi dell’attualità non ho difficoltà a concordare, ma trovo che all’origine delle mutazioni genetiche della cosiddetta Seconda Repubblica non ci sia tanto il c.d. “berlusconismo”, che semmai ne è una conseguenza, quanto piuttosto il “bipolarismo”, che nasce dalle macerie della prima Repubblica e sulla convinzione che fosse necessario cercare una scorciatoia per transitare velocemente alla democrazia dell’alternanza, il che ha inevitabilmente provocato una diversa strutturazione del sistema politico.

L’ipotesi che stava alla base della riforma elettorale del 1993 era che, sotto la spinta di una legge tendenzialmente bipolare se non ancora bipartitica, i protagonisti della Prima Repubblica si sarebbero via via accorpati in ragione della loro pregressa affinità ideologica e della prospettiva di comuni obiettivi; e così, per stare al nostro caso, i liberali si sarebbero uniti ai repubblicani, e poi ai radicali ed ai laici in genere; analogamente avrebbero fatto a loro volta i socialisti delle varie confessioni, prima tra di loro e poi coi postcomunisti divenuti anch’essi socialisti; ed a quel punto anche i postdemocristiani avrebbero per necessità subìto un processo di forte omologazione tra le tante correnti che li avevano in passato divisi e si sarebbero omologati in tutto ai popolari europei.

Alla luce dei fatti, oggi possiamo concludere che quel progetto era sbagliato o comunque è fallito, il che poi è la stessa cosa: piuttosto che l’unione di ciascuna cultura politica, il bipolarismo ne ha provocato la divisione ed addirittura la frammentazione, mentre la ricomposizione necessitata dal bipolarismo è avvenuta secondo una logica che non era più quella della rappresentanza degli interessi della propria area politica, ma piuttosto quella dell’ostilità verso gli altri, e, nell’un campo come nell’altro, sotto l’alibi costituito dal “programmismo”, quasi sempre fantasioso e velleitario, in un crescendo di promesse che ciascun soggetto politico pensa di potere impunemente fare, anche se non ha la più pallida idea circa la loro intima coerenza e la loro concreta praticabilità.

Ciò che prima era unito sulla base di una comune concezione della società, si è scomposto nelle sue diverse anime e si è poi ricomposto secondo una logica che non è più quella della rappresentanza (con le sue regole naturali, alle quali ciascun elettore prestava quasi naturale consenso in relazione alle convinzioni che nascevano dalla sua personale formazione culturale), ma piuttosto secondo la logica del “programmismo” (la cui unica regola è stata quella della cattura occasionale del consenso per la conquista del potere, o, se si vuole, per impedirne la conquista agli avversari divenuti nemici).

La proposta politica è quindi totalmente cambiata: all’affermazione “io sono” (che consentiva una valutazione sulla credibilità e coerenza rispetto ai comportamenti del passato ed alla credibilità per il futuro), si è sostituita l’affermazione “io propongo” (che obbliga ad una scommessa al buio sul futuro), e su questo nuovo scenario si è costruita la cattedrale delle aspettative, quasi sempre deluse perché basate su promesse impossibili da mantenere.

Sulla scia del “programmismo”, a seguire, sono venuti gli altri “ismi” tipici della seconda repubblica, che hanno malamente sostituito quelli ideologici della prima: il leaderismo (con compiti di supplenza rispetto alla mancanza di idealità), il populismo (che ne è il naturale corollario), il trasformismo (prima assolutamente residuale), il bellicismo (con l’avversario trasformato in nemico), l’estremismo (per restare sempre in sovraesposizione), il giustificazionismo per i propri sodali (sulla base del noto aforisma di Roosevelt riferito al dittatore nicaraguense Noriega: “sarà pure un figlio di p. ma è il nostro figlio di p.”).

Berlusconi è stato il più lesto di tutti a capire ciò che stava accadendo, e si è subito sintonizzato sul nuovo spartito, mentre gli altri ci hanno messo un po’ di più, anche se non ci sono riusciti del tutto, perché quelle caratteristiche della nuova stagione politica, che in Italia sono sempre state connaturali alla destra, hanno trovato una sinistra ontologicamente refrattaria, sino al punto da favorire la nascita, proprio nella sua area, dell’ennesimo “ismo” che tutti li riassume: il “grillismo”.

Se il bipolarismo, come io credo, è all’origine della malattia della nostra democrazia, è qui, sulla causa e non sui suoi effetti, che si deve intervenire per imboccare la strada della guarigione.

Il fatto si è che ogni mutazione del sistema elettorale provoca una corrispondente mutazione nel comportamento degli elettori: la stessa persona, nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, vota in maniera diversa a seconda che ci sia un sistema elettorale piuttosto che un altro.

E trovo abbastanza naturale che gli attuali protagonisti della politica, che sono nati dal bipolarismo, siano naturalmente portati a preservarlo, in una forma o nell’altra; e, se così sarà, resta un pio desiderio ogni ottimismo sulla prospettiva delle convergenze ideologiche auspicate da Roberta.

A meno che, la Corte Costituzionale, che lo scorso anno ha salvato questa schifosa legge elettorale dalla tagliola referendaria, non si decida questa volta a fare il suo lavoro, accogliendo la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Cassazione su istanza di un gruppo di cittadini, il cui primo firmatario, guarda caso, porta il nome di Aldo Bozzi, omonimo del suo avo tanto caro ai liberali d’antan come me, e così mandando al macero il premio di maggioranza, se non anche le liste bloccate, come pure sarebbe auspicabile.

Ne risulterebbe in tal caso un sistema proporzionale con soglia al 4%, un po’ come in Germania (soglia al 5%) o in Austria (soglia al 4%), che per i liberali è obiettivo difficile ma non impossibile, talvolta centrato (come per il NEOS in Austria), talaltra no (come da ultimo per la FDP in Germania), e così anche propiziando ciò che anche in Italia l’ALDE sta tentando di fare.

Solo a quel punto, tutto sarà possibile, anche che i liberali, quelli nuovi più facilmente che quelli della diaspora, si ritrovino insieme, e che la stessa cosa facciano i popolari ed i socialisti. E, se così non sarà, il nostro sogno, quello di Roberta, il Tuo ed il mio, resterà tale, e ci risveglieremo, magari ritrovandoci con qualche “ismo” in più!
ENZO PALUMBO


Comments:
Sono d'accordo. Il bipolarismo, così poco connaturato alla Storia italiana che ha sempre visto un grande pluralismo, è insieme causa e conseguenza di molti mali del nostro sistema politico.
 
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