La prima informazione da dare ai cittadini è che il testo
della legge costituzionale che sarà oggetto del Referendum popolare nel
prossimo mese di ottobre è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica,
Serie generale, del 15 aprile 2016, n. 88. Chi ha studiato un po' di diritto si
procuri quel testo e lo legga. In modo da comprendere esattamente di cosa si
sta parlando, senza aspettare le interpretazioni e le spiegazioni di
commentatori partigiani.
Il titolo della legge costituzionale enuncia gli obiettivi
perseguiti dai promotori della riforma. Il primo è: «superamento del
bicameralismo paritario». I fautori del "No", nei quali, per giocare a carte
scoperte, dichiaro subito di riconoscermi, sostengono che la normativa
approvata non realizzi compiutamente tale obiettivo. Si consideri l'articolo 10
del testo, che riguarda il procedimento legislativo, con un'integrale
sostituzione dell'attuale articolo 70 della Costituzione. Al primo comma sono
elencati tutti i casi in cui la funzione legislativa continua ad essere
«esercitata collettivamente dalle due Camere». Ciò significa che in questi casi
Camera dei Deputati e Senato della Repubblica continueranno ad esercitare i
medesimi poteri nel procedimento di approvazione delle leggi.
Si tratta di casi
molto rilevanti. Rientrano nell'elenco: le leggi di revisione della
Costituzione e le altre leggi costituzionali; le leggi che autorizzano la
ratifica dei trattati relativi all'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea
(art. 80, secondo periodo, Cost.); le leggi sull'ordinamento di Roma, in quanto
capitale della Repubblica (art. 114, terzo comma, Cost.); le leggi che possono
attribuire «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» a Regioni
diverse da quelle a statuto speciale (art. 116, terzo comma, Cost.);
disposizioni di legge di carattere generale in materia di indebitamento di
Regioni, Città metropolitane e Comuni (art. 119, sesto comma, Cost.); esercizio
del potere sostitutivo del Governo nei confronti di organi di governo regionali e locali, inclusi i casi di
esclusione dei titolari di organi di governo regionali e locali quando gli Enti
da loro amministrati versino in «stato di grave dissesto finanziario» (art.
120, secondo comma, Cost.); disposizioni in materia di emolumenti dei
componenti dei Consigli regionali (art. 122, primo comma, Cost.); leggi che
autorizzano Comuni a staccarsi da una Regione e aggregarsi ad un'altra, dopo
l'assenso espresso dalla maggioranza delle popolazioni interessate (art. 132,
secondo comma, Cost.). Chi abbia la pazienza di leggere con attenzione la
riformulazione dell'articolo 70 Cost. vedrà che l'elenco è molto più lungo,
oltre ai casi che abbiamo voluto espressamente richiamare, a titolo di esempio.
Quanti puntano al superamento del bicameralismo paritario
lamentano che, nell'ordinamento vigente, un testo di legge possa passare più
volte da una Camera ad un'altra, perché basta una minima modifica per rendere
necessaria una nuova lettura da parte dell'altro Ramo del Parlamento (la
cosiddetta navetta). Non è esatto, però, che tale inconveniente non possa più
ripetersi in futuro. In tutte le situazioni che finora abbiamo visto, in cui la
funzione legislativa continuerà ad essere esercitata collettivamente dalle due Camere,
niente impedisce il ripetersi di navette, senza limiti temporali.
Posto che il Senato della Repubblica, nella nuova versione
riformata, ha tra i suoi compiti fondamentali quello di rappresentare le
istituzioni territoriali e di esercitare «funzioni di raccordo tra lo Stato e
gli altri enti costitutivi della Repubblica» (art. 55, comma 5, Cost.), la
prima cosa che un comune cittadino è portato a pensare è che il Senato debba
dire la sua quando si tratti di approvare la legge annuale di bilancio dello
Stato (art. 81, quarto comma, Cost.). Infatti, si prevede che i disegni di
legge in materia di bilancio (o di rendiconto) siano assegnati automaticamente
al Senato, che può deliberare proposte di modificazione entro 15 giorni dalla
trasmissione (si veda art. 70, comma quinto, Cost.). Spetterà poi alla Camera
dei Deputati pronunciarsi in via definitiva. Tuttavia, considerato che il
Senato avrà comunque una visibilità maggiore rispetto all'attenzione che finora
hanno avuto negli organi di informazione i lavori della Conferenza unificata
(Stato - Regioni - Città ed autonomie locali), si potrà facilmente verificare
che la lettura del Senato si traduca in una passerella per consiglieri
regionali e sindaci, con l'unico effetto di amplificare la protesta ed il malcontento
delle istituzioni territoriali.
Secondo la riformulazione dell'articolo 117 Cost., su
proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie di
competenza legislativa regionale, quando lo richieda «la tutela dell'unità
giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse
nazionale» (art. 117, comma quarto, Cost.).
Poiché questa formulazione è molto
vaga, si presta potenzialmente ad abusi. Si prevede, dunque, che in questi casi
i disegni di legge approvati dalla Camera siano necessariamente sottoposti al
Senato, che li esamina nei 10 giorni successivi. La Camera può non conformarsi
alle modificazioni eventualmente proposte dal Senato, ma se questo ha
deliberato a maggioranza assoluta dei suoi componenti, anche la decisione
difforme, definitiva, della Camera dei Deputati dovrà essere adottata a
maggioranza assoluta dei propri componenti (art. 70, comma quarto, Cost.).
Abbiamo finora considerato tre diverse ipotesi di
procedimento legislativo: a) quando la funzione legislativa deve essere
esercitata collettivamente dalle due Camere; b) per i disegni di legge annuali
di bilancio dello Stato e di rendiconto consuntivo; c) quando per superiori
ragioni intervenga una legge dello Stato in materia di competenza legislativa regionale.
Per tutte le altre leggi varrà il procedimento legislativo
che i fautori della riforma qualificano come tipico: la Camera dei Deputati
esamina ed approva. L'esame da parte del Senato è soltanto eventuale. Occorre
che entro dieci giorni dalla trasmissione del testo, su richiesta di almeno un
terzo dei propri componenti, il Senato deliberi di esaminare un dato disegno di
legge. Le eventuali proposte di modifiche potranno essere deliberate dal Senato
nei trenta giorni successivi. La Camera resta comunque libera di tenerne, o non
tenerne, conto (art. 70, commi secondo e terzo, Cost.).
Si vede, dunque, che questa riforma, non soltanto non
abolisce il Senato della Repubblica, ma gli lascia rilevanti competenze
nell'esercizio della funzione legislativa, nonché altre importantissime
attribuzioni. Ad esempio, il Senato concorre ad eleggere il Presidente della
Repubblica (art. 83, primo comma, Cost.). Nomina due giudici della Corte
Costituzionale (art. 135, primo comma, Cost.). Concorre ad eleggere i componenti
del Consiglio superiore della magistratura di nomina parlamentare (art. 104,
comma terzo, Cost.).
Resta da valutare, dunque, se la nuova composizione del
Senato, prevista dalla riforma, sia adeguata rispetto a compiti ed attribuzioni
così importanti nell'ordinamento complessivo dello Stato.
I Consigli regionali delle diciannove Regioni esistenti ed i
Consigli provinciali delle due Province autonome di Trento e di Bolzano sono
chiamati ad eleggere un totale di 95 senatori, in rappresentanza delle
istituzioni territoriali. Si tratta di un'elezione di secondo grado, nel senso
che i Consigli eleggono i senatori scegliendoli tra i propri membri. Ogni
Consiglio (inclusi quelli delle Province autonome) deve eleggere un sindaco di
un Comune del proprio territorio. A conti fatti, ci saranno quindi 74
consiglieri regionali e 21 sindaci che diventeranno senatori. Durante il
travagliato iter parlamentare della riforma, il Governo ha accettato una
mediazione con quella parte dei parlamentari del Partito democratico che non
voleva rinunciare all'elezione popolare diretta dei senatori.
Ne è scaturita la
disposizione del quinto comma dell'articolo 57 Cost. Infelicissima per la sua
formulazione e fuori contesto (è stata inserita in un comma che riguarda non la
composizione del Senato, ma la durata del mandato dei senatori). Leggiamo: «La
durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle
istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte
espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo
dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto
comma». Qui la tortuosità del pensiero è ben resa da una forma mediocre ed
approssimativa. Indegna di figurare in una Costituzione. Sembra di capire che
il potere di elezione è comunque dei Consigli regionali. Questi, però,
dovrebbero in qualche modo tenere conto delle preferenze espresse dal Corpo
elettorale per alcuni candidati consiglieri regionali. L'articolo 39, recante
le disposizioni transitorie, chiarisce al primo comma che, fino a quando non
sarà approvata la legge di cui all'articolo 57 Cost., e comunque in sede di
prima applicazione, la designazione popolare dei consiglieri resterà lettera
morta. I Consigli eleggeranno i senatori spettanti alla Regione (in proporzione
alla popolazione residente) sulla base di liste di candidati selezionati fra
gli stessi consiglieri e comprendenti anche i sindaci.
La Costituzione entrata in vigore l'1 gennaio 1948 stabiliva
la regola dell'incompatibilità tra alcune cariche elettive: «Nessuno può
appartenere contemporaneamente a un Consiglio regionale e ad una delle Camere
del Parlamento o ad un altro Consiglio regionale»; si veda l'originario testo
dell'articolo 122 Cost.. Tale incompatibilità è stata mantenuta dalla legge
costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, che, nel riformulare il predetto
articolo 122 Cost., l'ha anzi estesa ad altre due fattispecie prima non
considerate: membro di una Giunta regionale (quindi, a maggior ragione,
Presidente della Giunta eletto a suffragio popolare diretto) e membro del
Parlamento europeo.
L'istituto dell'incompatibilità tende ad evitare il cumulo
di cariche elettive di particolare rilevanza, affinché l'eletto ad una data
carica si concentri sull'obiettivo di assolvere al meglio il proprio ruolo
istituzionale, evitando di disperdere tempo ed energie fra una pluralità di
incarichi. Di conseguenza, quando una stessa persona, a seguito della sua
partecipazione ad elezioni di diverso livello, si trovi a ricoprire temporaneamente
più cariche fra loro incompatibili, ha il dovere di optare per una sola di
esse. Altrimenti, la legge lo fa comunque decadere. E' evidente la finalità di
salvaguardare l'interesse generale al miglior funzionamento possibile delle
istituzioni rappresentative e di governo. Vale la pena ricordare, inoltre, che
la cultura giuridica d'ispirazione liberale guarda con sfavore alla
concentrazione di una pluralità di poteri in capo ad una stessa persona. Ogni
potere va ricondotto strettamente alla titolarità di precise funzioni
istituzionali e va imputato ad una persona, la quale si assume la
responsabilità politica e giuridica del suo esercizio.
La riforma costituzionale muove, invece, dal presupposto che
i consiglieri regionali ed i sindaci (nulla vieta che vengano nominati sindaci
di Comuni capoluogo di Regione) siano degli sfaccendati che possono benissimo
svolgere, part time, anche le funzioni
di senatore.
Dietro il pretesto della novità, si coglie un evidente
elemento di irrazionalità.
LIVIO GHERSI
# posted by Nico Valerio @ 22:28